di Furio Colombo
da L'Unità
Giorni fa una giornalista della Rai ha accostato, microfono alla mano, la signora De Filippi di Albissola, che aveva, in quel momento, ritrovato il suo bambino rapito. Con discutibile gusto ha chiesto alla madre appena uscita dal panico: «Signora, lei perdona?». Questa infelice domanda purtroppo, è diventata un passaggio obbligato di alcuni colleghi delle televisioni italiane, tutte le volte che, per un evento drammatico, c’è un responsabile, e c’è una controparte a cui si può porre quella domanda. Probabilmente pensano che sia, invece di una provocazione intollerabile (vedi, di volta in volta, le facce delle persone interrogate), una domanda cristiana. Cattiva idea, ma diffusa. Non viene dalla cronaca. I cronisti l’hanno imparata dalla politica. Nella politica italiana, ogni due giri, ti chiedono se sia il caso di perdonare a Berlusconi e di lasciarlo in pace. La domanda non viene posta esattamente come alla infuriata signora di Albissola. Si usano in alternativa i seguenti argomenti:
1- Smettete di demonizzare l’avversario. Proponete, piuttosto, soluzioni concrete ai problemi. Intanto lui, l’avversario, sta cambiando, colpo per colpo, la Costituzione del Paese e fa votare una legge ridicola sul conflitto di interessi che impedisce ai dipendenti di una azienda, non al padrone, di entrare in politica.
2- Con l’ossessione di Berlusconi, rischiate di cadere dalla padella alla brace, e cioè di ritrovarvi nella deriva demagogica e plebiscitaria del berlusconismo senza Berlusconi. La frase è illuminante, è ciò che nel Codice civile si chiama “prestazione impossibile”. Dimostra che, in buona fede, ci sono ancora professionisti e praticanti della politica che non si rendono conto della portata di un fenomeno che è non solo unico ma anche difficilmente ripetibile. Infatti il berlusconismo richiede una tale concentrazione di ricchezza, potere pubblico, potere privato, potere mediatico, insieme alla determinazione a usare senza scrupoli, tutti insieme, tali incredibili risorse e poteri che, al momento, non esiste un secondo caso Berlusconi al mondo. E non esiste né si può immaginare alcun berlusconismo senza Berlusconi.
3- Perdonare, nel senso di evitare attacchi alla persona, è il modo migliore di non fare il suo gioco. Più lo attacchi più c’è la possibilità che i suoi gli si stringano intorno, che le tue esagerazioni irritino i temperamenti pacati, e che ci sia il rischio di creare simpatia, di farne una specie di perseguitato, di capro espiatorio. Intanto lui, trovandosi per caso in un viale di Rimini, abbastanza vicino a una signora che gli grida «ma vada a casa», intendendo augurargli di uscire presto dalla politica, dice, staccando bene le parole: «Signora, ma lo sa che lei ha una bella faccia di merda»?
Provate a immaginare il coro di scandalo se, sul giornale fondato da Antonio Gramsci, quella frase fosse stata trasformata da noi in un titolo per lui. Inutile invocare il diritto di cronaca. Sarebbe stato definito dalle migliori fonti un titolo “omicida”.
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Qui forse può essere utile definire che cosa è personale e che cosa è politico nel rapporto, necessariamente combattivo, fra una opposizione e un capo di governo. Prendete i discorsi della Convenzione democratica di Boston. Ci dicono di prenderli a modello perché in essi non si parla mai di Bush. ? vero, ma ciò si è fatto in omaggio a una ferrea regola della pubblicità americana, non della politica, secondo cui non si dice mai il nome del prodotto da screditare, ma si spinge il consumatore a scoprirlo, con orrore, da solo. Infatti il nome del presidente è stato continuamente sostituito da «governo» «amministrazione», «il clan della Casa Bianca», «la banda (gang) di Halliburton» (dal nome dell’azienda del vice presidente Cheney che ha vinto per sé tutti i contratti per la ricostruzione dell’Iraq), il «falso patriota che si avvolge nella bandiera», «colui che ha impoverito l’America», «un leader così preso dai suoi affari da non accorgersi dell’11 settembre», «il grande pericolo», «colui che ha distrutto il nostro futuro», «l’uomo che per fare la guerra ha mentito al Paese».
C’è un’altra ragione per l’attacco spietato, martellante però indiretto. I candidati democratici stanno dimostrando di essere meno volgari del presunto campione della cristianità George Bush, che in un diluvio di costosissimi spot pubblicitari, accusa costantemente per nome e cognome John Kerry, eroe di guerra in Vietnam e poi leader del movimento pacifista contro il Vietnam, di tradimento. Bush, l’uomo che in tempo di guerra non si è mai fatto trovare dal servizio di leva, non ha molti scrupoli. Non ne ha come candidato e non ne ha avuti, mentendo al Paese, come Presidente. Ma Bush non ha altra vita e altra immagine che il suo governo e la sua azione politica. Stampa e televisione sono libere di giudicarlo, fianco a fianco con il suo rivale, perché Bush, pur circondato dal favore (ricambiato con un taglio rovinoso di tasse per il Paese) dei ricchi, non controlla reti televisive, case editrici, banche e assicurazioni, è ricco ma non come Berlusconi, è audace nelle sue bugie ma non possiede Francesco Pionati e Bruno Vespa come portavoce quotidiani e personali per milioni di spettatori.
Adesso chiediamoci perché, a intervalli regolari, qualcuno viene avanti (spesso da sinistra) e ci chiede, come alla signora De Filippi: perdona? La domanda implica una esortazione, secondo cui “perdonare” conviene. Mi meraviglio che non sia ancora stata rivolta alla signora di Rimini a cui Berlusconi ha attribuito la «faccia di merda».
Perdonare vuole dire: parliamo di cose concrete, di proposte in positivo, e smettiamo di occuparci di lui.
La frase appartiene al teatro dell’assurdo ed è facile spiegare perché. Primo, perché mai, neppure nei momenti più aspri delle battaglie di opposizione, qualcuno si è mai sognato di occuparsi della persona e della vita privata di Berlusconi, delle sue relazioni in famiglia e dei suoi tratti caratteriali in privato, ovvero di Berlusconi figlio, padre, amante, marito. Qualcuno provi a trovare una prova contraria, se ci riesce.
Secondo, quando si parla di “accuse” tutti gli spunti e i materiali sono tratti da processi penali, noti e pubblici. E se non vi sono querele su quei materiali è perché si tratta di documenti giudiziari. Nessuno - salvo meticolosi pubblici ministeri, nell’ambito di processi in corso (o sospesi da leggi “ad personam”) - ha mai accusato Berlusconi di contiguità con la mafia, di avere ospitato mafiosi o di essere parte in causa nei processi di deputati-amici colpiti da pesantissime e documentate accuse giudiziarie. Ci si è limitati a ripetere ciò che i giudici ufficialmente comunicano. Al di fuori dei processi non è mai stata raccolta una voce, una insinuazione, un “si dice” che comincia con “forse”.
Terzo, è buono il consiglio pubblicitario americano di non usare mai il nome del prodotto da screditare, ma in questo caso il prodotto è una persona che si autocertifica, letteralmente, come il più bravo di tutti mentre è protagonista di vicende giudiziarie che screditerebbero chiunque, in ogni Paese. Screditerebbe chiunque non possedesse il suo controllo assoluto sui media. Quel controllo ha un nome, come lo hanno i suoi fascicoli giudiziari e le leggi speciali che sono state fatte per lui. Arduo e rischioso far finta di niente.
Se non si pubblica in chiaro il nome, se non si tiene, bene in vista, l’immagine del presidente-proprietario-imputato, si compie omissione del dovere di informare. Lo fanno in tanti ma, come per l’evasione fiscale, diciamo che non è una buona ragione.
Forse può essere utile fare riferimento alla illuminante intervista di un giornalista argentino, Emiliano Guanella che, come i lettori sanno, collabora dall’America Latina, anche con l’Unità . E infatti pubblicheremo nei prossimi giorni la sua intervista. Guanella si è recato nei giorni scorsi a intervistare l’ex Presidente argentino Menem che - inseguito da mandati della magistratura argentina a cui è riuscito a sfuggire - vive prudentemente in Cile. ? stato chiesto a Menem un giudizio su Berlusconi. L’ex statista argentino inseguito da pesanti accuse e sospetti da cui non desidera difendersi in un tribunale, ha detto: «Ammiro molto Berlusconi, credo che sia l’uomo giusto al posto giusto. Per questo, come me, lo perseguitano. Lui per fortuna controlla tutti gli strumenti di comunicazione del suo Paese, altrimenti non avrebbe potuto salvarsi. Io, purtroppo, stampa e televisione non potevo controllarli. Ed eccomi qui».
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Ci resta da dire che cosa ha risposto la signora di Albissola alla domanda «Perdona?» a proposito della baby sitter che le aveva appena rubato il bambino. Ha detto: «Non ci penso neanche. Prima voglio il processo». La risposta è rigorosa. Logica, oltre che umana. Nella vita non esiste il montaggio che si può fare al cinema o in televisione per cui si passa dalla scena iniziale a quella finale, saltando quello che c’è in mezzo. Ogni fatto chiede un esito e una via d’uscita prima di passare ai fatti successivi. Come fai a dimenticare Berlusconi prima che Berlusconi se ne sia andato e ci sia stato il tempo di dimenticare il ruolo che ha avuto nella vita italiana?
Quanto alle proposte positive e concrete esse si dividono in due parti.
Nella prima, l’opposizione unita avrà per programma creativo e positivo la cancellazione delle leggi ad personam, della cosiddetta riforma del lavoro che crea il precariato assoluto, della cosiddetta riforma delle pensioni che taglia i diritti di chi ha lavorato, della cosiddetta riforma della scuola che ha gettato l’intero sistema nel caos, della cosiddetta riforma della sanità che la rende per molti aleatoria e costosa, della spaventosa e indegna legge sulla procreazione assistita, della “riforma giudiziaria” che trasforma i giudici in impiegati, della legge sul conflitto d’interessi, per il suo indecoroso effetto sull’immagine dell’Italia nel mondo, della legge Gasparri perché il proprietario di tutte le tv private non può essere autorizzato per legge a prendersi il controllo di tutte le Tv pubbliche.
Spazzato il campo dalle macerie, comincerà la vera prova di coloro che adesso sono l’opposizione. Costruire un Paese rispettabile, rispettato, fiducioso, decente (ho usato tutte le parole della Convenzione democratica).