di Rinaldo Gianola
da L'Unità
«Sarà un autunno molto difficile: vedo un Paese che si sfilaccia dal punto di vista sociale, un sistema industriale in crisi, un governo che alimenta lo scontro non solo con i soggetti tradizionali del lavoro dipendente, ma anche con i ceti medi e professionali. Per questo, di fronte alle scelte provocatorie di Berlusconi, sarà necessario che il sindacato confederale mostri tutta la sua responsabilità e la massima unità per governare una situazione che potrebbe rivelarsi pericolosa».
Il segretario generale della Cgil, Gugliemo Epifani, è appena rientrato in Italia dopo aver passato l’ultima settimana negli Stati Uniti per incontri sindacali e per partecipare alla Convention del Partito Democratico a Boston.
In questa intervista le sue riflessioni sulla scelte della politica americana e le ripercussioni che avranno in Italia («Se vince Kerry ci saranno certo conseguenze negative anche per Berlusconi»), si aggiungono alle gravi preoccupazioni per le ultime azioni del centro-destra (la riforma delle pensioni, le linee del Dpef, la stangata d’estate in attesa di una Finanziaria lacrime e sangue) contro il mondo del lavoro e le imprese e all’appello affinchè «le forze del centro sinistra definiscano al più presto un programma minimo comune, senza perdere altro tempo».
Epifani, che cosa ci faceva il segretario della Cgil alla Convention democratica di Boston?
«Abbiamo raccolto un invito del sindacato americano Afl-Cio a partecipare all’assemblea dei delegati sindacali alla Convention democratica. E abbiamo assistito ai lavori. ? stata un’occasione importante di confronto e di condivisione dei timori per le politiche sociali di George Bush e, per quanto ci riguarda, di Silvio Berlusconi. Non c’è alcun dubbio che la linea della Casa Bianca, caratterizzata da populismo, retorica, rifiuto del confronto con il mondo del lavoro abbia molti punti di contatto con quella del nostro governo. Il manifesto elettorale dei democratici, ci è stato spiegato, raccoglie molte sollecitazioni del sindacato americano: ad esempio si esprime la preoccupazione per la delocalizzazione produttiva, per l’aumento dei posti di lavoro non qualificati negli Stati Uniti, per l’impatto sociale del commercio senza regole, per la privatizzazione crescente della sanità e dell’istruzione, settori per i quali si chiede un’inversione di tendenza. Kerry, tra l’altro, si è impegnato a migliorare i livelli minimi delle retribuzioni e a non aumentare ulteriormente l’età pensionabile. Sono punti importanti del programma democratico».
Ad esser sinceri non molti anni fa la Cgil avrebbe considerato l’Afl-Cio poco più di un sindacato “giallo”.
«Questo è il passato, sono valutazioni di molto tempo fa che oggi non hanno ragione di esistere. La Cgil ha col sindacato americano una proficua collaborazione, nel pieno rispetto reciproco, anche perchè oggi viviamo gli stessi problemi posti dalla crisi economica e dal liberismo selvaggio».
Qual è l’America di Epifani? Che cosa la lega a quel Paese?
«Come molti della mia generazione ho iniziato ad amare l’America con la Nuova Frontiera di John Kennedy. Poi la guerra in Vietnam, nel bene e nel male, ha segnato un’epoca, la scelta politica di milioni di giovani. In più, continuo ad ammirare il sistema politico e istituzionale americano anche se molti dicono che è vecchio: in America ci sono partiti come quello democratico che hanno quasi duecento anni, ma che mantengono la forza e la capacita di cambiare e di rigenerarsi senza buttare alle ortiche il loro passato e i loro principi. L’America mostra di avere le risorse per rinnovarsi, per assorbire milioni di immigrati, mantenendo una grande identità nazionale e un forte rispetto delle istituzioni».
C’è qualche cosa nella Convention democratica che l’ha colpita più di altre e che vorrebbe replicare in Italia?
«La prima cosa è la grande partecipazione, la netta sensazione di essere davanti a un appuntamento che può cambiare il corso della politica negli Stati Uniti e nel mondo. Non c’è dubbio, e non lo scopro certo io, che se alle elezioni di novembre dovesse vincere Kerry finirebbe finalmente quella visione unilaterale, quella politica basata prevalentemente sulla potenza militare degli Stati Uniti. Il candidato democratico dice che “la democrazia non si esporta ma la si propone”, promette che “non porterò mai l’America in una guerra in cui non saprò vincere la pace”. Insomma, il cambiamento è evidente, anche se mi ha molto impressionato il fatto che quel Paese sia chiuso su se stesso. Anche i leader democratici, nei loro interventi, parlavano sempre di “noi, noi” come se, fuori, nel mondo, fosse un’impresa farsi capire. Dopo l’11 settembre l’America aveva raccolto la solidarietà di tutto il mondo, la guerra in Iraq ha rotto quel sentimento».
Non c’è il rischio che la sinistra si entusiasmi troppo: Kerry ha finito il suo discorso facendo il saluto militare. Se lo facesse Prodi all’assemblea dell’Ulivo non so come finirebbe...
«Tutti i simboli e il linguaggio, almeno quelli dei maggiori leader, della Convenzione sono segnali di sfida, indicano la competizione, la battaglia da vincere. C’è un aspetto mediatico e c’è un aspetto politico. Gli attacchi a Bush e alla sua politica sono stati durissimi. Altro che abbassare i toni, come qualcuno ha scritto cercando di banalizzare lo scontro politico americano e quello italiano».
A questo proposito alcune corrispondenze sui grandi giornali nazionali, per non parlare di Piero Ostellino ieri sul Corriere della Sera, hanno preferito ironizzare sulla missione del centro sinistra a Boston piuttosto che trovare possibili analogie nel confronto politico tra Stati Uniti e Italia.
«Ho molto rispetto per il lavoro dei giornalisti, ma devo dire che l’articolo di Ostellino è proprio fuori luogo. Questo sì che è vero provincialismo, così come la continua ricerca del pettegolezzo, del dettaglio superfluo, anzichè guardare ai fatti veri. Perchè sorprendersi se la sinistra italiana è alla Convention Democratica? Certi giornali dovrebbero sapere almeno che i democratici americani hanno rapporti storici e consolidati con l’Internazionale socialista».
? possibile trarre dalla Convention un insegnamento per l’Ulivo?
«La novità che più mi ha favorevolmente colpito è che i sindacati e il Social Forum americani sostengono pienamente Kerry nella campagna elettorale contro Bush. ? una bella notizia, è un fatto politicamente rilevante, per nulla scontato. In passato ci sono state divergenze profonde. Kerry ha un partito unito, che lo sostiene, e ha organizzazioni e sindacati che lo appoggiano. Questo non vuol dire che il Partito Democratico sia un monolite. C’è una grande varietà di posizioni, da Jackson ai più moderati, il dibattito è ampio e spesso vibrante, ma l’obiettivo comune è cacciare Bush dalla Casa Bianca».
E l’Ulivo?
«Ho l’impressione che i partiti del centro sinistra stiano perdendo troppo tempo. C’è un forte ritardo. Berlusconi alza continuamente l’asticella della sfida, sta portando il Paese a una crisi drammatica, a una rottura sociale dagli effetti pericolosissimi e l’opposizione non ha ancora un programma. Bisogna partire subito, lavorare per scrivere un documento programmatico, anche di pochi punti ma chiari e condivisi, su cui lanciare la battaglia politica per il governo del Paese. Non vorrei che il centro sinistra si crogiolasse sulla vittoria alle amministrative. Questo ritardo nella definizione di una proposta lascia perplessi gli elettori dell’Ulivo e crea alcune situazione paradossali per cui leggiamo dichiarazioni di esponenti del centro sinistra che si dicono favorevoli a mantenere la delega sulle pensioni o la legge Maroni sul mercato del lavoro. Ci vuole un programma e subito. Aggiungo: facciamolo prima del congesso dei Ds e degli altri partiti del centro sinistra».
Poi c’è il problema della leadership, delle primarie. Pare che qualcuno voglia portare in giro Prodi e Bertinotti, come madonne pellegrine, nelle assemblee uliviste per vedere chi prende più voti....
«Prodi è il leader, prenda in mano la regia del programma. Non perdiamo altro tempo. Non vedete cosa sta combinando intanto Berlusconi?».
Nell’ultima settimana è stata approvata la manovra correttiva, è passata la delega sulle pensioni e Siniscalco ha detto che i contratti si rinnovano col tasso d’inflazione dell’1,6%. La maggioranza di centro-destra è messa male, come dimostrano gli scontri di ieri alla Camera, ma il governo va avanti come un treno nel suo disegno. Come lo spiega?
«Berlusconi, di fronte alle risse dei suoi, alza continuamente la posta. Gioca sempre più pesante. Ma sarebbe un errore pensare che qualcuno, magari tra i più moderati del centro destra, possa far saltare la coalizione. Il potere di ricatto di Berlusconi sui suoi alleati è enorme. Sono convinto inoltre che le ultime azioni del governo siano consapevolmente finalizzate ad accentuare lo scontro sociale nel Paese. Non è casuale, c’è un disegno dietro le ultime provocazioni di Berlusconi».
Che cosa intende dire?
«Dico che la manovra di correzione non servirà a sistemare i conti e che il governo farà ricorso ad altri interventi, dico che l’approvazione della delega sulla previdenza, una delle vicende più strane e deprimenti viste in Italia nel rapporto tra esecutivo e forze sociali, apre uno scenario inquietante per l’equiparazione tra fondi contrattauli e aperti, con il possibile trasferimento di una parte del Tfr in un fondo Inps che potrebbe servire a una nuova, creativa cartolarizzazione o per aiutare la contabilità pubblica. Dico che il Dpef, così come delineato, avrà un effetto devastante sulle famiglie, sul Mezzogiorno, su Regioni, Provincie, Comuni e anche sulle imprese. A questo proposito non capisco perchè il presidente di Confindustria Montezemolo abbia dato via libera al taglio degli incentivi per gli investimenti, un provvedimento grave per le imprese. Non ho apprezzato questa scelta, ma forse Montezemolo si attende qualche cosa in cambio che non sappiamo. Possibile che si possa accontentare di un’Irap più leggera?».
Può darsi che la Confindustria voglia rinnovare i contratti col tetto d’inflazione programmata dell’1,6%.
«Voglio sperare che nessuno si presenti con questa richiesta. Ci sono i contratti del Pubblico impiego, dei metalmeccanici, del trasporto locale, milioni di lavoratori con le loro famiglie attendono il giusto adeguamento delle loro retribuzioni. Spero che prevalga il senso di responsabilità e il sindacato confederale farà la sua parte e starà in campo con rigore: ma ho il sospetto, e mi auguro di essere smentito, che il governo voglia vedere la gente esasperata in piazza, punti agli scioperi selvaggi».
Il presidente di Confindustria forse si fida molto di Siniscalco, il ministro «tecnico» dell’Economia. E non si può dimenticare oggi che la Fiat, secondo il nuovo amministratore delegato Marchionne, è in una situazione pesante. E Montezemolo è anche presidente della Fiat.
«Cosa abbia in testa Montezemolo non lo posso dire. Ma su Siniscalco qualche idea, in questi giorni, me la sono fatta. Dunque, il nuovo ministro dell’Economia ha certamente segnato un cambiamento rispetto a Tremonti: usa parole e metodi diversi, è rispettoso delle parti sociali. Il suo predecessore, invece, faceva tutto lui, tirava dritto, non gli importava di nulla e di nessuno. Detto questo, possiamo forse affermare che Siniscalco ha cambiato politica? Secondo me non è successo niente: Siniscalco è solo l’altra faccia della stessa medaglia».
Perchè lo dice?
«Perchè la politica economica di Siniscalco va nella stessa direzione di Tremonti: hanno sbagliato le previsioni, la finanza creativa ha prodotto danni enormi come avevamo denunciato a suo tempo e siamo ancora qui, oggi, ad ascoltare Siniscalco che propone una riforma fiscale assurda, che vuole controllare i salari, tagliare i diritti dei lavoratori ad andare in pensione e premiare ancora i grandi patrimoni e le rendite finanziarie. Non ci siamo proprio, non facciamoci confondere dall’aspetto “tecnico” del ministro. Per me Siniscalco è come Tremonti, solo un po’ più educato».