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Articolo 21 - Editoriali
LEGGE 30 - Mappa della precarietà contratto per contratto
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di Giovanna Ferrara

Lavoratori «a chiamata» senza tutele. Collaboratore a progetto, se ti infortuni ti licenziano

da Il Manifesto

La mappa della precarietà, nel settore privato, si compone di una miriade di figure contrattuali. Su tutte il governo tenta di far passare un'interpretazione distorsiva, spacciandole per forme di lavoro moderne, mentre esse di moderno hanno poco, visto che concepiscono il lavoro come fosse una merce. L'innovazione ha, dunque, il sapore di un ritorno al passato. Si tenta, infatti, di stravolgere l'asse culturale che, partendo dalla Costituzione, passando per lotte e proteste, approdò allo Statuto dei lavoratori del 1970, centrato non sul lavoro ma sulla «dignità dei lavoratori». Nel contratto di apprendistato il nucleo centrale è quello educativo alla professione («imparare il mestiere»), in cambio del quale il lavoratore è disposto a percepire di meno per un determinato periodo di tempo. Con la riforma della destra sparisce l'obbligo per l'impresa di far rientrare nel pacchetto anche corsi e approfondimenti esterni, che sono quelli in grado di «professionalizzare» di più. Invece dell'inquadramento di un livello sotto quello corrispondente alla mansione espletata, si prevede l'inquadramento di due livelli sotto, con conseguente abbassamento della retribuzione. Il tempo, poi, per imparare diviene lunghissimo: fino a sei anni. Il contratto di inserimento, è una specie di ricovero professionale per i soggetti svantaggiati. Una recente circolare del ministero del welfare prevede che la funzione formativa, originariamente indicata come il motivo principe per cui ricorrere a questi contratti, «perda la sua natura caratterizzante». In più si esplicita che il soggetto realmente beneficiario del contratto è l'impresa: ai fabbisogni della stessa si risponde con «l'adattamento del lavoratore». I sindacati denunciano un contrasto dell'interpretazione ministeriale con l'accordo interconfederale, nel quale si prevedeva, infatti, «un tetto minimo di formazione». Grazie al job on call (lavoro a chiamata, utile alle aziende soprattutto durante i fine settimana e le ferie) è stata introdotta la figura dell'«operaio squillo», quello che, in quanto a precarietà, vince su tutti: pur avendo dato la propria disponibilità - che significa restare a casa per aspettare la chiamata - può non percepire niente se l'impresa decide di non servirsi di lui. Forte è l'opposizione dei sindacati «per i quali - come sottolinea Alessandro Genovesi della Cgil - l'istituto non è oggetto di mediazione: nessuna contrattazione collettiva lo recepirà». Il contratto di lavoro a progetto è il fiore all'occhiello del ministro Maroni. Non a caso, visto che è stato il varco con cui istituzionalizzare l'incertezza per il posto di lavoro. Anzitutto la durata può essere anche «determinabile», cioè dipende da quando il datore ritiene che un progetto può dirsi concluso. Pochissime le tutele: nel caso di infortunio e malattia il committente può comunque sciogliere il contratto se la malattia si protrae per un periodo superiore a trenta giorni. «Questo - sottolinea Genovesi - anche se il lavoratore si è infortunato durante il lavoro» . Nell'analizzare, poi, la figura dell' occasionale accessorio, non superiore ai trenta giorni, si scopre che il lavoro non è solo merce, ma che la si può comprare dal tabaccaio. Il datore di lavoro acquista dei ticket che corrisponde, in cambio di «piccoli lavoretti» (di giardinaggio o domestici o affini) ai lavoratori, che, presso determinate rivendite, li cambiano in circa cinque euro (o in un pacchetto di sigarette!). Cambia il part time, naturalmente in peggio. «Vengono stravolte - sottolinea Genovesi - le categorie contrattuali. Si mettono, cioè, sullo stesso livello gli accordi sindacali nazionali con quelli aziendali. Sparisce l'obbligo del consenso del lavoratore per le ore lavorative in più e il diritto al consolidamento (quello che riconosce il passaggio da un tempo parziale a uno con più ore nel caso che gli "straordinari" non siano delle eccezioni, ndr). Le clausole di definizione del rapporto non sono più collettive, ma individuali: con il risultato che, facendo leva sulla necessità di lavorare, il lavoratore finisce per accettare qualsiasi cosa».

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