Articolo 21 - ESTERI
Egitto, l’ora dei fatti
di Ibrabim Refat*
Gli incidenti di Imbaba fra cristiani e musulmani di sabato scorso che hanno lasciato sul terreno 13 morti sono un monito per tutti. Le autorità egiziane devono intervenire presto per fermare il dilagare della violenza nel paese. Nei soli cinque primi mesi di quest’anno sono stati trucidati oltre cinquanta copto-ortodossi. Un numero che superiore a quello registratosi in tutti gli anni precedenti, sotto la dittatura.
Il nuovo potere al Cairo ha addossato la responsabilità dei fatti Imbaba ai nostalgici dell’ex regime di Mubarak. Solo in parte quest’accusa è fondata. In realtà l’Egitto è in preda a convulsioni confessionali da molto tempo, da quasi 40 anni. La strategia del regime prerivoluzionario consisteva nel lasciare i musulmani scaricare la loro rabbia verso la minoranza cristiana senza mai punire i responsabili. Ciò era accaduto in tutti questi anni dagli incidenti di al-Zawiaa al-Hamra al Cairo, nel 1971, passando per al-Kosheh in Alto Egitto, nel 2000, fino a quelli di Atfih, a sud del Cairo, nel marzo di quest’anno. Proprietà di copti e luoghi del culto sono stati saccheggiati e incendiati per non parlare di decine di innocenti trucidati per la sola colpa di appartenere a una minoranza confessionale. Nessuno dei responsabili di questi incidenti, in prevalenza musulmani, è stato processato e punito.
Ora il potere nato dalla rivoluzione del 25 gennaio deve dimostrare un cambiamento radicale rispetto a questa strategia suicida. Le autorità egiziane devono pure procedere al più presto al varo una legge anti-discriminazione a sfondo religioso, e di un’altra legge per la costruzione di chiese abbandonando quella in vigore dal 1936 che penalizza la minoranza cristiana. Senza quelle misure l’Egitto potrebbe presto fare la stessa fine dell’Iraq o del Libano, rompendo l’unità del paese ottenuta in tanti secoli di convivenza civile.
I nuovi governanti egiziani non devono bruciare quest’occasione per consolidare la democrazia nel paese. Nello stesso tempo non devono mostrarsi arrendevoli verso i salafiti che sono una minoranza in un paese che aspira a maggiore libertà e alla giustizia sociale; e a recuperare il tempo perduto nel trentennio disastroso del regime di Mubarak. E l’Europa deve spingere affinché ciò diventi realtà.
Il nuovo potere al Cairo ha addossato la responsabilità dei fatti Imbaba ai nostalgici dell’ex regime di Mubarak. Solo in parte quest’accusa è fondata. In realtà l’Egitto è in preda a convulsioni confessionali da molto tempo, da quasi 40 anni. La strategia del regime prerivoluzionario consisteva nel lasciare i musulmani scaricare la loro rabbia verso la minoranza cristiana senza mai punire i responsabili. Ciò era accaduto in tutti questi anni dagli incidenti di al-Zawiaa al-Hamra al Cairo, nel 1971, passando per al-Kosheh in Alto Egitto, nel 2000, fino a quelli di Atfih, a sud del Cairo, nel marzo di quest’anno. Proprietà di copti e luoghi del culto sono stati saccheggiati e incendiati per non parlare di decine di innocenti trucidati per la sola colpa di appartenere a una minoranza confessionale. Nessuno dei responsabili di questi incidenti, in prevalenza musulmani, è stato processato e punito.
Ora il potere nato dalla rivoluzione del 25 gennaio deve dimostrare un cambiamento radicale rispetto a questa strategia suicida. Le autorità egiziane devono pure procedere al più presto al varo una legge anti-discriminazione a sfondo religioso, e di un’altra legge per la costruzione di chiese abbandonando quella in vigore dal 1936 che penalizza la minoranza cristiana. Senza quelle misure l’Egitto potrebbe presto fare la stessa fine dell’Iraq o del Libano, rompendo l’unità del paese ottenuta in tanti secoli di convivenza civile.
I nuovi governanti egiziani non devono bruciare quest’occasione per consolidare la democrazia nel paese. Nello stesso tempo non devono mostrarsi arrendevoli verso i salafiti che sono una minoranza in un paese che aspira a maggiore libertà e alla giustizia sociale; e a recuperare il tempo perduto nel trentennio disastroso del regime di Mubarak. E l’Europa deve spingere affinché ciò diventi realtà.
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