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Il 98% dei sardi ha detto ‘No’ al nucleare
di Ottavio Olita
Nell’Italia in cui basta l’esito di un sondaggio per autorizzare il governo a tentare di cancellare il diritto dei cittadini a scegliere, c’è stata il 15 e 16 maggio una risposta netta di voglia di autodeterminazione. L’hanno data i cittadini sardi recandosi in massa alle urne per dare validità al referendum consultivo su centrali nucleari e siti di stoccaggio delle scorie proposto dal comitato “Contr’a su nucleare” e sottoscritto da migliaia di cittadini. Sarebbe bastata un’affluenza del 33 per cento; il dato definitivo dei partecipanti al voto è stato quasi doppio – 60 per cento – con il 70 per cento toccato in quattro città. I risultati della scelta fatta dai sardi spiegano perché Berlusconi sta tentando in tutti i modi di non far svolgere o di oscurare la consultazione del 12 e 13 giugno prossimi: il 98 per cento dei votanti ha detto no al nucleare.
Il referendum sardo acquista un valore ancor più significativo se si valuta che solo in 97 dei 377 comuni dell’isola si è votato negli stessi giorni anche per le amministrative. La scelta dell’accorpamento era stata fatta dal govenatore Cappellacci, uomo di Berlusconi, in maniera nettamente difforme rispetto a quanto deciso a livello nazionale. Bene, nei 280 comuni nei quali si è votato solo per il referendum, la partecipazione è stata massiccia ed omogenea.
La campagna referendaria che ha preceduto il voto è stata una sorta di laboratorio politico perché partiti, movimenti ed associazioni uniti nel no al nucleare hanno cominciato a discutere di energie rinnovabili, di come soddisfare il fabbisogno energetico dell’isola, di un futuro sostenibile, di una terra da consegnare alle prossime generazioni in condizioni non peggiori rispetto a come la si è ricevuta dai genitori, possibilmente costrunedo condizioni di vita migliori.
Il referendum sardo, per come è stato proposto, per come è stato preparato e per come è stato attuato può diventare un formidabile modello valido per altre realtà. E può diventare pratica politica in vista dei quesiti ai quali dovremo rispondere il 12 e 13 giugno prossimi. Questo se l’affermazione del diritto dei cittadini a scegliere sulla qualità della propria vita e di quella dei propri figli prevarrà sulla logica di schieramento e di divisioni dettata dal marchio di appartenenza.
Il referendum sardo acquista un valore ancor più significativo se si valuta che solo in 97 dei 377 comuni dell’isola si è votato negli stessi giorni anche per le amministrative. La scelta dell’accorpamento era stata fatta dal govenatore Cappellacci, uomo di Berlusconi, in maniera nettamente difforme rispetto a quanto deciso a livello nazionale. Bene, nei 280 comuni nei quali si è votato solo per il referendum, la partecipazione è stata massiccia ed omogenea.
La campagna referendaria che ha preceduto il voto è stata una sorta di laboratorio politico perché partiti, movimenti ed associazioni uniti nel no al nucleare hanno cominciato a discutere di energie rinnovabili, di come soddisfare il fabbisogno energetico dell’isola, di un futuro sostenibile, di una terra da consegnare alle prossime generazioni in condizioni non peggiori rispetto a come la si è ricevuta dai genitori, possibilmente costrunedo condizioni di vita migliori.
Il referendum sardo, per come è stato proposto, per come è stato preparato e per come è stato attuato può diventare un formidabile modello valido per altre realtà. E può diventare pratica politica in vista dei quesiti ai quali dovremo rispondere il 12 e 13 giugno prossimi. Questo se l’affermazione del diritto dei cittadini a scegliere sulla qualità della propria vita e di quella dei propri figli prevarrà sulla logica di schieramento e di divisioni dettata dal marchio di appartenenza.
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