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Articolo 21 - ESTERI
Se vince Erdogan
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di Valentina Bonecchi*

Se vince Erdogan

Se davvero vincesse anche questa sfida elettorale, Erdogan e il suo partito conquisterebbero una meta storica. Non solo altri 5 anni di governo, ma, per la prima volta dalla nascita della Repubblica turca, il Paese avrebbe lo stesso partito al governo per la terza volta consecutiva. Un tale risultato non era stato mai raggiunto neanche dallo storico CHP, quando praticamente vigeva un sistema monopartitico. Storicamente infatti il partito al potere “soffriva la fatica” del secondo mandato e crollava, vuoi per correnti interne e divisioni o per attacchi esterni, di fronte al verdettto delle urne.

Il solo fatto che l’AKP stia quindi per giocare, con buone probabilità, il terzo mandato popolare,  è di per sé un fatto egno di nota.

Eppure, nonostante il consenso e la maggioranza conservata all’interno del governo, nonostante abbia portato avanti e messo in atto alcune riforme per la democratizzazione del Paese, nonostante insomma i 10 anni di operato, sembra che l’atteggiamento verso il partito moderatamente islamico del Premier sia ancora quello degli albori della sua entrata in campo. Permane l’iniziale sospetto verso un’ipotetica “secret agenda” di obiettivi del Partito, e quindi si cerca in ogni iniziativa l’attenzione ai temi religiosi e alle infiltrazioni islamiche che si suppone stiano a cuore più delle priorità del popolo. Le stesse riforme democratiche per l’ingresso nell’Unione Europea sono a volte viste come tentativi di introdurre la religione nel sistema delle istituzioni e questo contribuisce probabilmente ad aumentare il parere negativo della popolazione turca all’eventuale fusione con l’UE, oltre naturalmente allo storico comportamento di Bruxelles. Il vero problema del Paese è la contrapposizione netta tra quello che gli analisti definiscono il “secular block” e quello che l’AKP e i suoi sostenitori rappresentano dichiarando la loro fede religiosa. La rottura è storica ma attuale, è sociologica e politica ed è ben interpretata dalla struttura istituzionale, con i militari a guardia della democrazia, protetti da una “military justice” separata.

Queste elezioni potrebbero offrire un’occasione di gestire la storica questione  della divisione/contrapposizione tra i due blocchi ideologici, politici e sociali del Paese e porre una sfida sulla quale si potrebbe davvero ristrutturare la Turchia.

*da www.ilmondodiannibale.it


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