di Filippo Vendemmiati
Mentre riprende e si rinnova su mezzi d’informazione il triste capitolo di Avetrana che annuncia “novità clamorose”, quasi tutti i quotidiani e le televisioni pubbliche e private ignorano i processi Cucchi, primo grado a Roma e Aldrovandi, appello a Bologna. L’udienza sulla morte del ragazzo ucciso a Ferrara il 25 settembre 2005 è stata rinviata al primo giugno e slitta così l’atteso confronto tra i due consulenti, i cardiologi Gaetano Thiene, per la famiglia Aldrovandi, e Claudio Rapezzi per i quattro agenti. Tesi contrapposte, morte violenta per il primo, provocata da un ematoma cardiaco conseguente allo schiacciamento del torace, morte naturale per il secondo, favorita dall’assunzione di droga e alcol, in quantità per altro elevate e smentite dagli esami tossicologici. Nel processo di primo grado il giudice Francesco Maria Caruso accolse in toto l’ipotesi accusatoria del professor Thiene e condannò i quattro agenti a tre anni e sei mesi per eccesso in omicidio colposo. Dopo il confronto del primo giugno le altre udienze sono state fissate per il sei e il dieci di giugno e, a meno di imprevedibili colpi di scena, nei giorni
successivi è attesa la sentenza di secondo grado.
Novità importanti vengono invece da Roma, dall’udienza di primo grado nel processo sulla morte di Stefano Cucchi. Ne dà conto l’agenzia Ansa, ripresa e solo parzialmente da alcuni giornali, da altri totalmente ignorata.
“Mi hanno menato i carabinieri". Quando Stefano Cucchi, dopo la convalida del suo arresto per droga, entrò in carcere a Regina Coeli, disse questo a un agente della polizia penitenziaria. E il giorno dopo, portato in ospedale, nel lamentarsi per dolori alla schiena, disse a un altro agente: "I servitori dello Stato mi hanno fatto questo. Lo dirò al mio avvocato".
Un militare, Stefano Mollica, ha poi confermato che quando Cucchi fu prelevato dalla stazione dei carabinieri per la convalida del suo arresto in tribunale, aveva il viso gonfio e macchie sotto gli occhi.
Stefano Cucchi, 31 anni, fu fermato il 15 ottobre 2009 mentre stava cedendo droga e morì una settimana dopo nella struttura di medicina protetta dell'ospedale 'Sandro Pertini'.
Per questa morte sono sotto processo dodici persone: sei mdici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. A vario titolo, e a seconda delle posizioni, si contestano loro i reati di lesioni, abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d'ufficio e falsità ideologica.
Davanti alla Terza Corte d'assise, ha testimoniato anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dalla cui audizione sono emersi due fatti importanti: un sms ricevuto dal fratello qualche giorno prima dell'arresto, "Mi sto riprendendo la vita", scrisse ad Ilaria, e una lettera che il giovane il giorno prima della morte inviò alla comunità per tossicodipendenti che frequentava e che risultò spedita due giorni dopo il decesso.
"Caro Francesco - si legge nella lettera indirizzata a unoperatore della comunità - sono al Pertini in stato di arresto. Scusami ma sono giù di morale e posso muovermi poco. Volevo sapere se potevi fare qualcosa per me".
“E’ stata un’udienza illuminante e per aspetti decisiva, ha dichiarato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. E’emerso in particolare che Stefano chiedeva aiuto fino all’ultimo giorno e non si “stava lasciando morire” rifiutando di essere curato, secondo la versione fornita ai genitori, anche per questo aveva chiesto un incontro con il cognato. Le deposizioni rese poi dagli agenti di polizia penitenziaria hanno confermato cheStefano al momento dell’arresto era stato picchiato duramente dai carabinieri”.