di Gaetano Alessi*
Dossier preparato dagli studenti delle Facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza, a conclusione del 1^ Laboratorio di giornalismo antimafia. Focus specifici su infiltrazioni nel settore edile, gioco d'azzardo e sorvegliati speciali presenti sul territorio. Dedicato a Roberto Morrione, amico dei ''giornalisti di strada''
“La mafia teme la scuola più della giustizia”. Così scriveva Antonino Caponnetto, affermando l’idea che il fenomeno mafioso deve essere contrastato non soltanto sul lato giuridico militare, ma soprattutto sul piano “culturale”. La cultura del bello, dello stare assieme, della solidarietà, del bene comune contro l’ottuso oscurantismo rappresentato dalla “cultura mafiosa”, la cosiddetta “mafiosità”. Il dossier che avete tra le mani è figlio dell’intuizione di Caponnetto e nasce dentro un università storica come l’Alma Mater di Bologna. Nasce dalla voglia di un gruppo di ragazzi e ragazze di rompere lo schema delle verità di comodo, raccontate dai media nazionali per tacitare le “voci di dentro”, per spingersi oltre ed avere la forza ed il coraggio di guardare “oltre la siepe”.
Un percorso difficile perché nato senza “strumenti” d’indagine, che ha costretto i ragazzi che l’hanno percorso a battere sentieri ignoti, ad adattarsi, a fare cose che “non avrebbero mai pensato”, ma che li ha uniti, loro che vengono da tante regioni del paese, intorno alla comune battaglia per la legalità.
“Nient’altro che la verità” questa la missione del cronista secondo Giuseppe Fava. E la ricerca della “verità” è stato l’obiettivo che ha trasformato un gruppo di studenti in “giornalisti per amore”. Amore nel senso più alto del termine, quello che rende una sensibilità personale patrimonio collettivo, quello che spinge ad abbandonare i propri egoismi per occuparsi degli altri, di chi ti sta a fianco, quello che alla domanda “ma chi te lo fa fare” trova l’immediata risposta “per voi”.
Lo stesso “amore” che portavano nel cuore Roberto Morrione, Ninnì Cassarà, Rocco Chinnici, Nuccio Montana, Pino Puglisi, Peppino Impastato, Giuseppe Fava e che oggi accompagna Antonio Ingoia, Luigi Ciotti, Nicola Gratteri, Gaetano Saffioti.
L’amore e la verità quindi come armi di contrasto alla mafiosità, numeri e dati da contrapporre come un “grido” al silenzio di comodo di molte istituzioni.
Trenta pagine che scardinano la granitica certezza che in Emilia Romagna “va tutto bene” e che le mafie “sono un problema degli altri”.
Trenta pagine in cui vengono a galla gli intrecci perversi negli appalti edili e nei cantieri, lo sfruttamento della disperazione della gente vittima dell’usura figlia del gioco d’azzardo e traccia una linea di sangue che dagli anni 50 e dalla legge su sorvegliati speciali arriva fino agli omicidi Guerra, D’Amato e Guarino dei giorni nostri.
Chi scrive viene dalla storia dei giornali locali, quelli per dirla come Sciascia di “frontiera”. Ed una cosa ha imparato, che il silenzio uccide più delle pallottole.
Che nel silenzio le mafie prosperano, ingrassano i propri affari, rubano territorio, escludono l’economia legale, inquinano la politica, mortificano le persone oneste, in un solo concetto: rubano futuro.
Ma le mafie devono sapere che questo paese ha la capacità straordinaria di creare anticorpi democratici. Lo è questo lavoro, lo è il corso “mafia e antimafia” della Professoressa Stefania Pellegrini senza la quale queste pagine non sarebbero nelle vostre mani, lo sono tutti i ragazzi che hanno lavorato per fare in modo che questo dossier si realizzasse.
Sono orgoglioso di ognuno di loro, dei loro occhi brillanti, dei loro sorrisi, della loro caparbietà.
Nel buio morale in cui sembra sprofondato l’Italia, questi studenti, questi “giornalisti per amore” sembrano tante lucciole nella notte della ragione. Ed emanano una luce viva, che conserva la memoria, salvaguarda il presente e regala futuro.
Ed Antonino Caponnetto da qualche parte sorride con noi.
* Curatore del Laboratorio
Il dossier mafia in Emilia Romagna