Articolo 21 - INTERNI
Cacciari, Di Giovanni e il malaugurio elettorale
di Federico Orlando
Ho scritto queste note prima di conoscere i clamorosi, quasi incredibili risultati delle elezioni. I risultati, se possibile, autorizzerebbero ad essere ancor più severi con filosofi molto impegnati in politica, molto accreditati come icone o ex icone del centrosinistra, e invece, come a loro capita ormai spesso, ce li troviamo come critici più oziosamente distruttivi che giustamente severi. Ieri mattina, mentre gli elettori si recavano ancora alle urne, sono uscite due interviste, una di Repubblica a Massimo Cacciari e una del Messaggero a Biagio di Giovanni. L'intervista a Massimo Cacciari, il titolo è “La sinistra vincerà, ma il pericolo è illudersi di avere in tasca le politiche”. Parlo da uomo di centrosinistra e dico: sacrosanto, ma perché, ogni volta che parla di un nostro possibile successo, Cacciari sente il bisogno di aggiungere un “ma”? Chi gliel'ha detto che siamo così spericolati e insipienti da non avvertire i pericoli? Alle gioiose macchine da guerra, tanti di noi non hanno mai creduto. Anche quando Cacciari forse ci credeva. Sappiamo anche che si possono vincere le regionali del 2005 e pareggiare, cioè perdere, le politiche del 2006... Specie se gli alleati resteranno gruppuscoli litigiosi e se il partito maggiore sarà diviso in correnti non abbastanza preoccupate dalla richiesta di unità del paese.
Se nei giorni precedenti al ballottaggio, Cacciari avesse ascoltato e letto alcune interviste a Stefano Boeri, l'architetto che credo guiderà a Palazzo Marino la maggioranza di Pisapia, non avrebbe perso (come si desume dalla sua intervista) un passaggio essenziale, che invalida la sua analisi: e cioè che è cambiata la politica, l'orientamento dell'opinione pubblica sui problemi che determinano le sue scelte elettorali. Da Napoli a Trieste, da Novara a Cagliari, al nord, al sud, al centro. E due domenica fa si era stravinto a Torino, Salerno e Bologna. Non sono più i partiti, a sinistra come a destra, a dettare le loro soluzioni al corpo elettorale, ma è questo a dettarne ai partiti. Come ha scritto nella sua analisi Ilvo Diamanti, rivalutando l'ovvietà, che è la nemica mortale delle caste politiche: “Buoni candidati, buone coalizioni, qualche buona idea, possono produrre buoni risultati”. Manca un' aggiunta essenziale: i buoni candidati, le buone coalizioni, qualche buona idea, li ha espressi in primo luogo la società, borghese al nord, non borghese al sud, interclassista (come si diceva una volta) dappertutto.
Ho fatto il riferimento alla borghesia perché, dice al Messaggero un altro filosofo alquanto lamentoso, Biagio De Giovanni di Napoli, con un riferimento storico forse un po' datato: “...è la borghesia che fa le città; e mentre a Milano si sono confrontati due pezzi di borghesia, con le rispettive visioni borghesi della città, entrambe molto al di là del berlusconismo e dell'antiberlusconismo, a Napoli non esiste più una borghesia degna di questo ruolo”. Donde la decisione del filosofo di non votare, sembrandogli entrambe le offerte “di bassissimo profilo”. Giudizio personale, comprensibile in chi ancora rappresenta la capitale intellettuale del Sud in Europa; ma intollerabile in leader culturali che dai risultati di ieri, e dal mutato “clima d'opinione” che anche i filosofi hanno il dovere di percepire, dovrebbe trarre gli auspici per la nuova politica. Da fare col popolo, offrendo elementi di saggia collaborazione e non di sdegnato e sterile isolamento. Così ha fatto a Milano Stefano Boeri, battuto alle primarie da Pisapia e messosi con spirito civico a disposizione del candidato sindaco. Così ha fatto a Napoli Umberto Ranieri, di cui De Giovanni inorridisce perché – dice - è stato per me doloroso vedere un riformista doc come lui tirare la volata a De Magistris”. Ecco il tarlo che distrugge le coscienze degli intellettuali del Sud, che li ha resi sempre estranei alla nazione meridionale. Cosa doveva fare Ranieri, andarsene al mare anche lui e dire alla camorra di accomodarsi? Napoli ha bisogno di tutto, ma intanto di qualcuno che, o alla salernitana o alla milanese, l'immondizia dalla strada la raccolga ogni giorno, per cominciare. Così come Milano ha bisogno di dare ossigeno alle 280mila aziende con meno di 10 addetti che esprimono il nuovo ceto medio e la nuova borghesia delle periferie, che, coi problemi della 'ndrangheta, delle zingaropoli, della piccola delinquenza, che oggi turbano la cerchia più ristretta dei Navigli, lottano da anni, e da soli. Come da soli, fino alla sera di lunedì, hanno lottato le popolazioni di Trieste, di Cagliari e di una parte maggioritaria del paese. Se lo capissero anche i filosofi.
Se nei giorni precedenti al ballottaggio, Cacciari avesse ascoltato e letto alcune interviste a Stefano Boeri, l'architetto che credo guiderà a Palazzo Marino la maggioranza di Pisapia, non avrebbe perso (come si desume dalla sua intervista) un passaggio essenziale, che invalida la sua analisi: e cioè che è cambiata la politica, l'orientamento dell'opinione pubblica sui problemi che determinano le sue scelte elettorali. Da Napoli a Trieste, da Novara a Cagliari, al nord, al sud, al centro. E due domenica fa si era stravinto a Torino, Salerno e Bologna. Non sono più i partiti, a sinistra come a destra, a dettare le loro soluzioni al corpo elettorale, ma è questo a dettarne ai partiti. Come ha scritto nella sua analisi Ilvo Diamanti, rivalutando l'ovvietà, che è la nemica mortale delle caste politiche: “Buoni candidati, buone coalizioni, qualche buona idea, possono produrre buoni risultati”. Manca un' aggiunta essenziale: i buoni candidati, le buone coalizioni, qualche buona idea, li ha espressi in primo luogo la società, borghese al nord, non borghese al sud, interclassista (come si diceva una volta) dappertutto.
Ho fatto il riferimento alla borghesia perché, dice al Messaggero un altro filosofo alquanto lamentoso, Biagio De Giovanni di Napoli, con un riferimento storico forse un po' datato: “...è la borghesia che fa le città; e mentre a Milano si sono confrontati due pezzi di borghesia, con le rispettive visioni borghesi della città, entrambe molto al di là del berlusconismo e dell'antiberlusconismo, a Napoli non esiste più una borghesia degna di questo ruolo”. Donde la decisione del filosofo di non votare, sembrandogli entrambe le offerte “di bassissimo profilo”. Giudizio personale, comprensibile in chi ancora rappresenta la capitale intellettuale del Sud in Europa; ma intollerabile in leader culturali che dai risultati di ieri, e dal mutato “clima d'opinione” che anche i filosofi hanno il dovere di percepire, dovrebbe trarre gli auspici per la nuova politica. Da fare col popolo, offrendo elementi di saggia collaborazione e non di sdegnato e sterile isolamento. Così ha fatto a Milano Stefano Boeri, battuto alle primarie da Pisapia e messosi con spirito civico a disposizione del candidato sindaco. Così ha fatto a Napoli Umberto Ranieri, di cui De Giovanni inorridisce perché – dice - è stato per me doloroso vedere un riformista doc come lui tirare la volata a De Magistris”. Ecco il tarlo che distrugge le coscienze degli intellettuali del Sud, che li ha resi sempre estranei alla nazione meridionale. Cosa doveva fare Ranieri, andarsene al mare anche lui e dire alla camorra di accomodarsi? Napoli ha bisogno di tutto, ma intanto di qualcuno che, o alla salernitana o alla milanese, l'immondizia dalla strada la raccolga ogni giorno, per cominciare. Così come Milano ha bisogno di dare ossigeno alle 280mila aziende con meno di 10 addetti che esprimono il nuovo ceto medio e la nuova borghesia delle periferie, che, coi problemi della 'ndrangheta, delle zingaropoli, della piccola delinquenza, che oggi turbano la cerchia più ristretta dei Navigli, lottano da anni, e da soli. Come da soli, fino alla sera di lunedì, hanno lottato le popolazioni di Trieste, di Cagliari e di una parte maggioritaria del paese. Se lo capissero anche i filosofi.
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