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Articolo 21 - Editoriali
? ufficiale: italiani fuori da Nassiriya. Ma perché non tornano a casa?
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di Leonardo Sacchetti

Le autorità militari confermano: c’è un accordo che «vieta» al contingente gran parte della città. Irraggiungibili l’ospedale, la scuola di polizia, il governo locale. L’opposizione: ritiro subito

da L'Unità

La zona «nord» di Nassiriya - vale a dire la grande parte della città, dove si trovano ospedale, scuola di polizia e sede del governo locale - è vietata agli italiani. Le indiscrezioni de l’Unità sono state confermate indirettamente dalle autorità. Il generale Dalzini dice: «Abbiamo scelto un profilo basso». Per i militari italiani è off limits la zona nord di Nassiriya. Lì hanno diritto di accesso solo i poliziotti iracheni e lì si trovano l’ospedale cittadino, la scuola di polizia e altri importanti edifici. ? questo l’accordo negoziato dal governatore della città con i radicali sciiti di Al Sadr. che garantisce da qualche giorno una tregua nel capoluogo dellla provincia di Dhi Qar. «Dobbiamo dire però che il controllo della parte settentrionale di Nassiriya - precisa il capitano Ettore Sarli, portavoce militare del contingente italiano di stanza della città irachena - rimane comunque nelle nostre mani». Certo: ma nella realtà, nessun militare italiano può valicare quel confine invisibile che divide la città in due parti: la zona del nord, con i poliziotti iracheni indaffarati a tenere a bada i miliziani di Moqtada al Sadr, e il resto della provincia di Dhi Qar - «un’area grande come il Kosovo», precisa Sarli - pattugliata dagli italiani. Un’indiretta conferma del fatto che ai militari italiani è stato ristretto ulteriormente il raggio d’azione viene dalle parole usate dal generale Corrado Dalzini, comandante della task force italiana in Iraq: «Abbiamo deciso di mantenere un profilo più basso». In che modo? «Se dobbiamo portare aiuti in una zona, evitiamo di far passare la colonna di mezzi nel centro della città, per non dare l’impressione che si tratti di trasporti militari e passiamo dalla tangenziale, allungando di un po’».
«Ma la zona nord non è il centro», cerca di ridimensionare la portata dell’accordo con i radicali sciiti il portavoce dei militari italiani a Nassiriya. Dopo la notizia pubblicata ieri da l’Unità, è arrivata una parziale conferma dell’esistenza della tregua che, nei fatti, salverebbe Nassiriya dalle violenze dei miliziani di Al Sadr. Il contingente italiano ha dovuto accettare la nascita di una sorta di zona off limits nel nord, il centro della città. Il capitano Sarli ha però smentito che la zona affidata alla polizia irachena sia il cuore della città. Questioni di geografia? Forse, ma nella zona settentrionale (in cui i militari italiani non possono farsi vedere) si trovano: l’ex base Maestrale (quella dell’attentato dello scorso 12 novembre, ribattezzata Animal House), l’ospedale centrale, la sede di quella che fu - fino al 30 giugno - la Cpa (l’amministrazione civile provvisoria e che attualmente ospita il governatore iracheno locale) e la scuola di polizia. «Controlliamo tutta la provincia, zona nord di Nassiriya compresa - afferma Sarli -, anche se la nostra presenza militare in quell’area è stata sospesa per rispetto della popolazione locale».
I lagunari della Serenissima continuano dunque a pattugliare le acque dell’Eufrate, mentre i carabinieri della Msu proseguono nel controllo della provincia di Dhi Qar. Ma nei compiti del nostro contingente a Nassiriya c’era (e c’è) anche l’addestramento della nuova polizia: com’è possibile «adempiere» a tale compito se la scuola di polizia si trova nella parte «interdetta» agli italiani? E la gestione dell’ospedale civile di Nassiriya, anch’esso nella parte nord? Certo, il centro della città è spaccato in due dall’Eufrate ma i luoghi nevralgici (come il suq, il mercato cittadino) si trovano tutti nella zona settentrionale. Ma «l’attività di distribuzione di aiuti umanitari prosegue», ha dichiarato il generale Dalzini. Dove? Anche nella zona nord? Questione di geografia. «Se (gli italiani) lo faranno (entrare nella zona nord), daremo loro battaglia», aveva detto a Repubblica Awas al Khafaji, rappresentante di Al Sadr. Dunque: chi controlla quella zona? Il dubbio rimane.
La ricostruzione di questa tregua, quindi, può far luce sull’attuale situazione a Nassiriya. Venerdì 6 agosto, gran parte del Sud sciita dell’Iraq era in fiamme. Come adesso, il cuore della rivolta era Najaf e da lì, come un domino, tutti gli altri centri a maggioranza sciita si infiammavano. Anche a Nassiriya la situazione stava degenerando: fuoco sui militari italiani, mezzi pesanti (i Dardo e i Centauro) nelle strade per arginare l’avanzata dei miliziani di Al Sadr. Poi, nella tarda serata del 6, l’inizio di una tregua che, nei fatti, ha trasformato Nassiriya in un’oasi di relativa tranquillità.
La tregua fu stipulata direttamente dal governatore irachena della provincia, Sabri al Rumayad. Proprio al Rumayad è il figlio di un potente sceicco locale che ha la propria zona d’influenza nella parte meridionale di Nassiriya. La zona in cui continuano a effettuare pattugliamento i militari italiani... Tale tregua prevedeva un cessate il fuoco da parte dei miliziani di Al Sadr in cambio di una «smilitarizzazione italiana» del centro settentrionale della città irachena: oltre il fiume Eufrate, verso Nord, le pattuglie potranno essere formate esclusivamente dai agenti della neonata polizia irachena, formata da ufficiali italiani.

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