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Sardi in Australia, gramsciani di fatto
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di Ottavio Olita

Sardi in Australia, gramsciani di fatto

Antonio Gramsci padre costituente dell’Italia Democratica e Repubblicana, quella che, come è solennemente proclamato dall’articolo 1 della Costituzione, è “fondata sul lavoro”. Un’utopia, un romanzo, un falso storico? No. Il risultato di un’analisi approfondita svolta a Brisbane, splendida città australiana, risorta in pochi mesi da una terribile alluvione della quale con tenacia e fatica instancabile operai, cittadini, amministratori hanno cancellato ogni traccia.

Ad organizzare l’iniziativa il circolo degli emigrati sardi “Ulisse Usai” e la Filef (la Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie) che hanno voluto unire due ricorrenze storiche particolarmente significative per suggerire ai relatori l’individuazione di possibili punti di contatto: i 150 anni dell’Unità d’Italia, i 120 anni della nascita di Antonio Gramsci.

Fausto Zanda, il presidente del circolo, un sardo emigrato 40 anni fa che in Australia ha costruito famiglia e lavoro, ne ha parlato con Carlo Lai – figlio di Giovanni Lai,  un compagno di prigionia di Gramsci – rappresentante della Filef, ed insieme hanno puntato su una data importante: il 2 giugno, Festa della Repubblica, nata dal primo voto a suffragio universale, dalla prima occasione data alle donne italiane di esprimere le proprie scelte politiche. (E uno dei partecipanti, Pietro Schirru, il rappresentante ufficiale dei sardi emigrati in Australia, ha ricordato commosso l’emozione con la quale sua madre si mise in fila davanti al seggio. In attesa per ore pur di prender parte a quel momento storico).

Quel giorno di 65 anni fa è stato ricordato dal console reggente italiano, Antonio Colicchia, nella sede del circolo Abruzzo (pensate a quale immediato confronto tra quel che è successo e risolto a Brisbane e la disperazione degli Aquilani).
In quella sede i sardi, invitati a partecipare, hanno dato il loro contributo esponendo una mostra di grafica satirica dedicata ai protagonisti del risorgimento italiano, dal titolo “Fratelli d’Italia”, che dopo Brisbane sarà portata anche a Sydney e Melbourne. Satira che dai pannelli si è poi spostata, nei colloqui tra i presenti, sulla valutazione dei risultati delle amministrative in Italia. Per capire cosa  si pensa all’estero della situazione italiana basterebbe osservare, ascoltare, sentire il disagio che provano i nostri connazionali nelle relazioni quotidiane con i cittadini degli stati nei quali vivono. Altro che simpatia: le corna, i cucù, le bugie, le nipoti di Moubarak, le igieniste dentali e tutto il resto suscitano fastidio, in molti disgusto.
 
Tre giorni dopo questa celebrazione il convegno dedicato a Gramsci. Io sono stato uno dei relatori, sulla scia del bel risultato ottenuto quattro anni fa a Nuoro con il convegno dedicato da Articolo 21 a “Gramsci Giornalista”. Gli altri: il professor Carlo Felice Casula, docente di storia moderna e contemporanea all’Università Roma Tre e Carlo Lai, che ha ricordato le testimonianze lasciate dal padre su Gramsci detenuto nel carcere di Turi.
Il professor Casula ha ripercorso gli anni più importanti della vita del grande pensatore sottolineandone l’enorme statura intellettuale ed umana, il coraggio, il rifiuto dei compromessi, il ferreo antidogmatismo e la convinzione dell’assoluta necessità per tutti, per i giovani in particolare, dello studio e della conoscenza. “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Casula ha concluso affermando che se Gramsci fosse riuscito a sopravvivere alla terribile carcerazione fascista sarebbe stato certamente uno dei costituenti, uno dei padri fondatori dell’Italia che, pur uscita distrutta dal nazifascismo e dalla guerra, trovò la forza di rinascere. Quindi non un uomo di partito, ma un intellettuale che appartiene al mondo, tanto da essere uno degli autori italiani più tradotti all’estero.
Io ho voluto ricordare il forte impatto che nei primissimi mesi di quest’anno ha avuto, nell’opinione pubblica, la riproposizione – anche in momenti di spettacolo come il Festival di Sanremo – dello scritto in ‘odio agli indifferenti’. Ho quindi ricordato come Gramsci sia stato il primo, grande pensatore a sottolineare il legame indissolubile che unisce il locale e l’universale (quel che oggi si chiama ‘glocal’), a riaffermare sempre i valori della comunità d’origine, senza mai rinnegare neppure la lingua materna, tanto da sollecitare la sorella a farla usare ai figlioletti. Tante le lettere scritte alla madre su questo tema, anche negli anni più duri della prigionia; e poi le fiabe, il desiderio di avere notizie del paese, Ghilarza, e addirittura la richiesta di avere il più importante testo satirico scritto in campidanese nei primi decenni dell’800 “Sa scomuniga de predi Antiogu a su populu de Masuddas”. Quindi dall’emotività alla razionalità, come l’analisi accurata delle differenze tra la realtà contadina delle sue origini e la condizione operaia della Torino in cui si recò nel 1911, a vent’anni, per proseguire gli studi dopo aver vinto una borsa di studio. Prime importanti riflessioni sul mondo del lavoro. E quindi l’attività giornalistica fino alla creazione di nuovi giornali, il più importante dei quali fu “l’Unità”. Ricorrendo sempre ad uno stile di scrittura di massima chiarezza e immediatezza, senza retorica o orpelli linguistici. Una forza intellettuale tale da suscitare l’ammirazione anche di un uomo come Piero Gobetti, un liberale con idee politiche distantissime dalle sue, ma che ne magnificava la tenacia, l’energia, la capacità organizzativa.
Nel dibattito, sviluppatosi subito dopo, una testimonianza sulla diffusione delle opere di Gramsci nel mondo è stata data da Pietro Schirru. Ha raccontato che in un viaggio in India, aggirandosi tra alcune bancarelle scoprì la presenza dei “Quaderni” e delle “Lettere dal Carcere” tradotti in inglese e nella lingua di quella regione dell’India. Il venditore capì la sua curiosità e volle scambiare con lui alcuni pareri.
E’ stato quindi sottolineato quanto il mondo dell’emigrazione sardo concepisca la propria realtà attuale in modo completamente diverso rispetto alle prime generazioni di migranti, quelle che vivevano con il corpo nella terra che li aveva accolti e con il cuore e il cervello ancora nei paesi che erano stati costretti a lasciare. Vivono esperienze che li mettono quotidianamente in relazione con diverse realtà economiche e con forti diversità culturali che grazie allo sforzo di comprendere, insieme con la pratica della tolleranza e della solidarietà li ha resi, in qualche modo, di fatto gramsciani: locali e universali. Terminato il tempo dell’incontenibile nostalgia ora è l’epoca della produzione di idee e progetti che potrebbero tornare utili, se sostenuti, anche alle regioni di provenienza, in questo caso alla Sardegna.
Dunque, come nel migliore esercizio del passaggio dalla teoria alla prassi, ripercorrere con attenzione e passione la personalità, l’umanità, il pensiero di Gramsci è valso a trarne indicazioni di impegno e di lavoro. Che lo abbia fatto una delle sedi più lontane di aggregazione di lavoratori sardi all’estero dovrebbe essere di sprone per quanti preferiscono una pigra gestione del presente affrontato con la logica del giorno per giorno e non con una seria programmazione di lavoro politico, sociale, culturale ed economico.


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