di Shukri Said*
Amarezza e delusione sono i sentimenti con cui si è svegliata ieri Mogadiscio dopo che il Primo Ministro Mohamed A. Mohamed ha dato le dimissioni lasciando campo libero all’accordo di Kampala del 9 giugno tra i due Sheikh, il presidente della Repubblica Sheikh Sharif Ahmed e lo speaker del parlamento Sheikh Sharif Hassan.
Le istituzioni federali di transizione furono promosse dall’IGAD nel 2004 per traghettare la Somalia dai Warlords alle elezioni. Erano tanto deboli che, dalla sede di Nairobi, non potevano entrare in Somalia senza l’aiuto di truppe straniere. Nel 2006 gli etiopi tentarono di radicarle a Mogadiscio facendo esplodere l’insofferenza per l’occupazione e la necessità di una diversa forza di pace.
Nel 2007 l’Unione Africana promosse la missione AMISOM con truppe ugandesi e burundesi ma la permanenza degli etiopi ed il riaccendersi della lotta tra i Warlords e gli islamici hanno peggiorato la situazione con 1 milione di sfollati.
A giugno 2008 è stato raggiunto a Gibuti un accordo per il ritiro degli etiopi, l’ingresso delle forze internazionali, la fine degli scontri ed una road map per elezioni ad agosto 2011.
In queste fasi si sono succeduti tanti premier finché il Presidente Sharif Ahmed ha indicato Mohamed lo scorso ottobre. Nonostante l’opposizione dello speaker Sharif Hassan, Mohamed si è insediato chiamando a sé diversi esperti della diaspora. In breve sono arrivati i successi che hanno galvanizzato la popolazione di Mogadiscio.
La puntualità nel pagare insegnanti e esercito ha permesso la riapertura di scuole e significative vittorie su Al Shabaab culminate con l’uccisione del capo di Al Qaeda per l’Africa orientale.
Qualcuno deve aver temuto che la pacchia stesse per finire.
Dimostrare in 5 mesi che si possono risolvere rebus inestricabili come la Somalia e compattare la popolazione oltre i clan è una sconfitta per la comunità internazionale che aveva scommesso su personalità sbagliate.
Così la morsa dei poteri forti si è chiusa sull’impegno di Mohamed.
Risultando ancora impraticabili le elezioni ad agosto, si discuteva sulla proroga delle istituzioni. Lo speaker proponeva tre anni per il solo parlamento che avrebbe rinnovato le altre due cariche. Mohamed proponeva un anno per le tre istituzioni transitorie onde battere Al Qaeda, adottare la Costituzione e la legge elettorale.
Inaspettatamente l’Ambasciatore dell’ONU per la Somalia Agostino Mahiga sposava le tesi dello speaker nonostante l’irragionevolezza di privilegiare una sola istituzione e un personaggio come Sharif Hassan rispetto a Mohamed.
In questi giorni dai siti somali è trapelato che lo speaker è in stretti rapporti con Robow Abu Mansur, capo degli Al Shabaab delle ricche regioni meridionali. I due eviterebbero di parlarsi al telefono ma si scambierebbero “pizzini”.
Mohamed è invece un docente dell’università newyorchese di Buffalo e membro dello staff del sindaco Bloomberg per la tutela delle minoranze che ha portato nella politica somala una ventata di onestà e organizzazione.
L’accerchiamento di Mohamed si è svolto in varie sessioni: a Nairobi, Roma, al Consiglio di sicurezza dell’ONU sino all’epilogo di Kampala dove il Presidente Ahmed e lo speaker Hassan si sono accordati per prorogare di un anno le tre istituzioni transitorie alla condizione che Mohamed si dimettesse.
Appena la notizia è giunta a Mogadiscio la popolazione è scesa in strada e per 10 giorni ha manifestato contro i due Sheikh e a favore di Mohamed. Sul sito gedoonline.com la satira si è scatenata contro l’ONU mostrando foto di Ban Ki-Moon e Mahiga su uno sfondo di dollari.
Mohamed ha provato a resistere finché sabato il Presidente ugandese Museveni gli ha inviato il Generale Aronda intimandogli di dimettersi entro 72 ore. Mohamed ha contestato che le truppe AMISOM hanno una missione di peace-keeping e non possono trasformarsi in forza di occupazione, ma alla fine, tra la prospettiva di una nuova guerra civile e le dimissioni, Mohamed ha scelto responsabilmente le seconde rassicurando i somali che continuerà a operare per loro.
Resta lo sconcerto per l’appoggio della comunità internazionale a personaggi da anni sulla scena di una Somalia afflitta dai peggiori mali mondiali, dalla pirateria al traffico d’armi e di uomini.
Perché a Mohamed sono stati preferiti i due Sheikh? E l’Italia da che parte si è messa prima dell’outing del Sottosegretario Mantica pro Mohamed, giunto a giochi fatti, quando dalla normalizzazione della Somalia abbiamo tutto da guadagnare, in primis l’interruzione di tanti sbarchi di rifugiati?
Se il presidente Ahmed è legato al mondo islamico da cui trae anche sostegno economico, lo speaker Hassan gode del sostegno di Mahiga coi suoi fondi internazionali.
La spiegazione più intuitiva all’intimidazione di Mohamed è che la sua efficienza rompeva questi equilibri. Le manifestazioni di Mogadiscio chiariscono che d’ora in poi non si potrà più accusare la Somalia di essere un nodo gordiano. L’ONU ci deve una risposta.
*fondatrice dell’Associazione Migrare (www.migrare.eu)
Articolo tratto da l'Unità