Cosa insegna il rapimento dei giornalisti francesi

di Mimosa Martini
Il rapimento dei due colleghi francesi riesce a chiarire nella sua drammaticità tante cose allo stesso tempo. Certamente che esiste una gestione politica nei rapimenti e che essa ora si è affinata, che ci sono stati dei governi che una volta schiaffeggiati rispondono con chiarezza e coerenza non solo ai ricattatori ma anche ai propri cittadini. Ma dimostra soprattutto che nessun giornalista, nessuno davvero, può illudersi di attraversare questo marasma irakeno puntando su qualche garanzia nel passaporto o nell'esperienza. I due francesi di esperienza in Medioriente ne hanno molta, uno di loro addirittura ci vive da anni. Sono cittadini di un paese che si è dichiarato contro la guerra fin dalla prima ora ma non è servito ad evitare loro di cadere in trappola esattamente come Enzo Baldoni.  Questo significa che raccontare davvero la guerra in Iraq è diventata un'impresa impossibile, come la guerra in Cecenia, come quella in Somalia. E come l'Afghanistan, di cui qualcuno osa parlare come di un paese libero se non addirittura pacificato. L'autobomba nel cuore di Kabul ci costringe ad aprire gli occhi e ci annuncia che la campagna d'autunno è cominciata.

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