di Emanuele Giordana*
Parla il direttore del «Diario» Enrico Deaglio: «La Croce Rossa sapeva la verità e ha lasciato circolare voci false»
da Il Manifesto
Una dettagliatissima inchiesta che ricostruisce per filo e per segno la missione, il percorso, l'agguato, il rapimento di Enzo Baldoni e l'uccisione del suo autista-amico Ghareeb. Che smonta le mezze verità e illumina le zone d'ombra che circondavano il viaggio maledetto, e ripetutamente negato, che da Baghdad portò il convoglio a Najaf e a Kufa e da lì all'appuntamento con la morte del giornalista e del suo autista-traduttore. E' questo in due parole il contenuto delle cento pagine che il Diario della settimana, da ieri in edicola, ha dedicato alla vicenda del rapimento e della morte di Baldoni e che ha per titolo «La vita è bella». Una speranza certo, ma l'esatto contrario di quanto il giornale rivela, se è vero che nostro governo seppe subito dell'agguato al convoglio della Croce rossa in Iraq, che fu messo al corrente della dinamica degli eventi e del fatto che l'auto di Baldoni guidava la colonna. E che per giorni lasciò circolare la convinzione che il giornalista si era recato a Najaf da solo e di sua iniziativa. Ma non c'è solo questo, come spiega Enrico Deaglio, direttore del settimanale.
Cosa vi ha infastidito del comportamento del governo?
Il fatto soprattutto che per almeno due giorni si siano diffuse notizie confuse e a volte anche false, come appunto la sensazione che Baldoni fosse andato in giro per i fatti suoi o che il convoglio della Cri non fosse mai arrivato a Najaf. La gravità è che tutto ciò ha contribuito a far sì che Enzo venisse addirittura insultato o sbeffeggiato. Non posso che associarmi anch'io a quanti hanno notato la differenza tra il comportamento dell'Italia e quello della Francia nella vicenda, praticamente contemporanea, del rapimento dei due ostaggi francesi.
La vostra ricostruzione chiarisce tutti i punti oscuri?
In gran parte sì. Ma tante cose restano poco chiare: il ruolo dei nostri 007 ad esempio, i misteri che circondano il video, le notizie che filtrarono sul secondo video che poi non esisteva. Infine gli strani comprimari di questa storia.
Ad esempio?
Sajaf al Jidi, detto Abu Karrar, un ex militare del regime di Saddam adesso a capo di un partito politico iracheno e che era il «contatto» del commissario della Croce Rossa Scelli per le mediazioni, come nel caso dei primi ostaggi italiani. Un uomo che si definisce «il mediatore» della Cri. Secondo la nostra ricostruzione, Abu Karrar non era affatto d'accordo sulla missione di De Santis e soprattutto si sentiva come esautorato da Ghareeb, questo palestinese di origine italiana che aveva contatti ed energia e che era, tra l'altro uno splendido personaggio.
E l'agguato?
Sappiamo che il convoglio ripartì da Kufa la mattina di venerdì 20 e che venne di nuovo attaccato verso Baghdad, con modalità simili a quelle dell'andata e praticamente nella stessa zona. Non c'è alcun dubbio sul fatto che le due azioni erano deliberate.
Ne avete parlato con Scelli?
Ho chiesto al commissario Cri se il generale era la stessa persona che si era lamentata con lui del ruolo di Ghareeb in Croce rossa e mi ha detto di sì. Gli ho anche segnalato che un sospetto legittimo porta a pensare che quell'uomo volesse in qualche modo dimostrare che se i convogli non si organizzano col suo consenso finiscono male. Ha detto di non aver motivo di dubitare del generale. Ma io credo che qualche pensiero adesso gli sia venuto.
Parlate molto anche del ruolo ambiguo della Cri che per altro aveva vietato il convoglio.
Come Scelli ci ha confermato. Ovviamente ha pesato l'ambiguità in cui opera la Cri in Iraq e per la quale viene accusata di mancanza di neutralità . Motivo per cui noi italiani siamo accusati di essere al seguito delle forze occupanti. Tutta la prima parte dell'inchiesta è dedicata alla missione a Najaf e Giuseppe De Santis, che la guidò assumendosene la responsabilità , spiega che era stufo di sentirsi dire: «Italiani? Uno ci spara, l'altro ci cura». Una frase, racconta, che lo ha fulminato e gli ha fatto cambiare rotta.
E' il ritratto di una brutta Italia, altro che «La vita è bella».
Dipende dal punto di vista. Se guardo a persone come Baldoni o Ghareeb vedo una storia piena di gente entusiasta, generosa e disinteressata. Non è un caso, credo, se adesso c'è chi sta pensando a dargli una medaglia d'oro -- *Lettera22