di Shukri Said*
Non c’è solo il Vaticano a subire i nefasti effetti della crisi delle vocazioni. Anche i fondamentalisti islamici, evidentemente, hanno i loro problemi sul versante del reclutamento dei kamikaze tanto che sabato è stato rinvenuto a Mogadiscio, imbottito di tritolo e pronto ad esplodere, un asino: dopo le donne e i bambini, è ora la volta degli animali di immolarsi per il fanatismo religioso che piace tanto ad alcuni come strumento per arrivare al potere.
La scoperta ha prodotto due commenti: una parte del governo di transizione ha sottolineato la debolezza di Al Shabab ridottasi a reclutare gli animali; dall’altra parte, si è sollevata l’indignazione delle associazioni animaliste.
Ma se scarseggiano i kamikaze, non scarseggiano i militanti di Al Shabab.
Arrivano alle armi pesanti i combattimenti tra Al Shabab, da una parte, e, dall’altra parte, le truppe del governo di transizione (TFG) e di AMISOM, la forza dell’Unione Africana composta da burundesi e, soprattutto, ugandesi.
In alcuni quartieri di Mogadiscio, come Huriwa e Dayniile si è arrivati ai bombardamenti che terrorizzano la popolazione. AMISOM, dal canto suo, ha scaricato nel porto di Mogadiscio numerosi carri armati in vista dei rinforzi che stanno arrivando.
A Kismayo, in questi giorni, è precipitato un drone americano, un aereo senza pilota i cui esemplari sorvolano continuamente il porto meridionale partendo da una nave militare statunitense che incrocia al largo della città. Al Shabab si è attribuito il merito dell’abbattimento rivelando ad Andulus, una delle sue emittenze radiofoniche, di averlo centrato con un bazooka.
La presenza americana in Somalia, del resto, è nota: se l’FBI ha un ufficio di fronte a Villa Somalia, la CIA ne ha uno vicino all’aeroporto Aden Abdulle.
E’ stata la CIA, infatti, tramite l’esame del DNA, ad identificare il capo per l’Africa Orientale di Al Qaeda Fazul Abdullah Mohammed rimasto ucciso ad un posto di blocco della Polizia somala all’inizio dello scorso giugno.
Il TFG nega la presenza della CIA a Mogadiscio, ma Al Shabab ha dichiarato la scorsa estate di aver avuto scontri diretti la scorsa estate con esponenti dell’agenzia di spionaggio USA e di averne feriti alcuni.
Ban Ki-moon ha detto che la carestia è figlia dell’insicurezza e della lunga guerra civile cosicché, per distribuire gli aiuti umanitari, è necessario ripristinare la sicurezza anche nelle regioni governate da Al Shabab.
A sua volta il Primo Ministro in carica Abdiweli Mohamed Ali ha chiesto che le Nazioni Unite indichino i posti sicuri in cui i volontari delle agenzie umanitarie possano operare in tranquillità.
E’ singolare notare l’evidente contraddizione tra le due posizioni, peraltro entrambe ispirate dalle Nazioni Unite: quella di Ban Ki-moon, per essere il Segretario Generale proprio della prestigiosa istituzione mondiale; quella di Abdiweli per essere il Primo ministro di un governo di transizione della Somalia voluto dalla comunità internazionale, ONU in testa. Si assiste, così, ad un gioco allo scaricabarile tra due istituzioni di comune provenienza e ispirazione.
Ma una novità si è vista lungo le martoriate strade della capitale somala. A seguito della recente visita del Primo Ministro turco Erdogan, diverse organizzazioni sanitarie e umanitarie sono arrivate a Mogadiscio dove si stanno distinguendo per abnegazione, efficienza e coraggio.
Malika è una ragazza turca che percorre le disastrate vie della capitale guidando l’ambulanza. E come lei diversi medici con la falce di luna sul bavero circolano senza scorta e senza lasciarsi intimidire dal clima di insicurezza che si respira ad ogni angolo, prodigandosi in favore di una popolazione enormemente aumentata con i profughi della fame.
Nelle istituzioni di transizione (IFI) si afferma che gli aiuti pervenuti in Somalia sono meno del 60% di quello che serve solo a Mogadiscio.
Il Primo Ministro del Kenya Raila Odinga ha annunciato al chiusura della frontiera con la Somalia preoccupato, sia dai flussi della popolazione stremata dalla carestia, sia dalle possibili infiltrazioni di terroristi. Il Palazzo di Vetro, invece, ha chiesto di prolungare la permanenza in Somalia delle truppe di AMISOM.
Come si vede da questa cronaca, non ci sono state a Mogadiscio notizie sconvolgenti nell’appena trascorso fine settimana. Tutto sommato, un altro tranquillo weekend di paura lungo i viali di Mogadiscio, o quel che ne resta, trascorso nell’inettitudine delle istituzioni di transizione a cavare la Somalia dal guaio nel quale si è cacciata da vent’anni. Si potrebbe dire che le istituzioni transitorie non hanno un adeguato supporto internazionale per imporsi nella guerra contro Al Shabab, ma, anche se così fosse, a queste carenze si potrebbe supplire con l’autorevolezza e la statura morale dei loro rappresentanti.
Ecco, queste carature proprio non ci sono e i somali sono tra quei popoli che tirano avanti non grazie, ma malgrado un governo. E noi, dall’Italia, sappiamo di sicuro che non sono i soli a vivere nella descritta condizione.
*fondatrice dell'Associazione Migrare – www.migrare.eu