di Marcella Ciarnelli
da L'Unità
Sembra la fiera dei sogni invece della fiera del Levante. Il presidente del Consiglio, secondo tradizione, ha inaugurato la manifestazione barese parlando di un paese che non c'è e che solo lui si ostina a vedere e descrivere. Il premier ha cominciato il suo intervento rivendicando il successo di «un'Italia diventata stabile» grazie al suo operato e lo ha concluso con l'impegno di «arrivare a fine legislatura per dimostrare con i fatti che abbiamo pienamente realizzato il nostro programma». In mezzo un lungo e noioso elenco. Uno spot partito dopo il ricordo doveroso del momento drammatico che il mondo sta vivendo dagli Stati Uniti alla Russia, e la ribadita necessità di lavorare «uniti», governo e opposizione, per far tornare a casa le due volontarie rapite in Iraq perché «la migliore risposta al terrorismo si può dare con l'unità di tutto il Paese». In questo modo si è guadagnato l'unico applauso di tutto il discorso, 42 minuti netti, oltre a quello finale. Peraltro breve e di circostanza.
Città superblindata. Cancelli sbarrati. Tiratori scelti sui palazzi dell'esposizione. Una sala attenta ma fredda. Distaccata. In gran parte delusa. Non c'è più nemmeno l'ombra del clima festaiolo della prima visita di Berlusconi, appena rieletto, con bagno di folla tra gli stand e visita alla Bari vecchia a dispetto di qualunque misura di sicurezza. Il feeling si è perso negli anni. Certo, non c'era stato l'11 settembre. Poi il mondo ha conosciuto la paura di ricatti inauditi. Ma non è per questo che in sala c'erano molte sedie vuote. E che i presenti non hanno trovato un solo motivo per interrompere con un applauso il discorso del premier. Neanche quando ha provveduto a ricordare che per gli imprenditori il suo governo ha finora approvato trenta leggi e, quindi «da voi ci aspettiamo molto perché per voi abbiamo fatto molto».
A poco meno di due anni dalla fine della legislatura le promesse non bastano più. ? già tempo di bilanci. E chi tutti i giorni deve fare i conti con la realtà che coinvolge persone e aziende comincia ad avere sempre meno fiducia nell'uomo di Palazzo Chigi che dice di avere la bacchetta magica ma che, evidentemente, non sa usarla. Nel novero delle promesse si possono inserire i seguenti concetti: 1) «la Finanziaria fortemente innovativa che il governo sta mettendo a punto non porterà nessuna stangata ma sarà di crescita durevole». E qui sono partite le spiegazioni che da giorni va proponendo sul come dovrebbe riuscire a fare il miracolo puntando sul tetto messo alle spese, il famoso 2%; 2) «l'annunciato taglio delle tasse con l'introduzione di tre aliquote (23, 33, 39%) non aumenterà il deficit perché si agirà sul controllo della spesa senza andare ad intaccare i fondi per i servizi sociali», quindi «mente due volte chi sostiene che la riduzione fiscale sarà solo a vantaggio dei ricchi, togliendo ai poveri»»; 3) «intendiamo realizzare la devolution non perché lo chiede un nostro alleato, ma per convinzione: è una riforma che riduce la spesa pubblica» e può prevedere qualche deroga come nel caso della politica del turismo, vera risorsa del Paese, che Berlusconi vorrebbe di nuovo centralizzare togliendone la responsabilità alle Regioni.
«La nostra riforma non ha niente a che fare con il federalismo voluto dal centrosinistra» ribadisce il premier buttando, come al solito, le responsabilità sulle spalle degli altri. Non è, d'altra parte, il deficit che si è trovato a gestire, una gravosa eredità «del famigerato governo del compromesso storico» ed a cui lui deve porre rimedio sempre con la geniale Finanziaria in cottura? Fa un po' di confusione sulle date il premier. Ma il concetto è chiaro: le colpe sono altrove. E poi se qualcosa c'è da cambiare nel federalismo «alla Camera sono previste 110 ore per gli emendamenti e 30 ore per la discussione». Lui sfoggia sicurezza: «In coscienza abbiamo bene operato». Che vogliono quelli che protestano?