di Francesco Alberoni
da Corriere della Sera
Basta «un solo difetto, un neo di natura» diceva Amleto, per portare un uomo anche molto dotato a distruggersi o a distruggere ciò che ha creato. Ne darò tre esempi. Nel primo, il difetto è una tendenza allâ??altezzosità che lo porta a essere troppo autoritario, altezzoso con i suoi collaboratori, con i suoi pari in cui suscita, giorno dopo giorno, senza che lui se ne accorga, risentimento, rancore. E nei suoi nemici odio. Mi viene in mente un politico estremamente dotato, creativo, generoso, ma in cui questo difetto finiva per sovrastare i suoi pregi fino a nasconderli. Era difficile dialogare, discutere con lui perché, quando non era dâ??accordo, chiudeva immediatamente il colloquio con una battuta. Questo modo di agire gli è servito cento volte per evitare di perdere tempo con i chiacchieroni e gli sciocchi. Ma il giorno in cui qualcuno ha cercato di avvertirlo che stava profilandosi un pericolo gravissimo, la sua altezzosa sicurezza si è dimostrata fatale. Nellâ??opera di Shakespeare, Cesare non ascolta le paure di Calpurnia, gli ammonimenti di Artemidoro e dellâ??indovino: e va incontro alla morte.
Un altro difetto che, da solo, può rovinare una persona di valore e generosa è il desiderio di essere amato da tutti, di piacere a tutti. Questo atteggiamento, innocuo negli artisti, diventa pericoloso nella persona che deve governare una grande impresa e ha molti nemici. Perché spesso lo porta a non ascoltare gli amici e i collaboratori più schietti e leali, quelli che gli dicono ciò che pensano, che lo criticano, e a lasciare spazio a coloro che lo circuiscono, lo elogiano, lo lusingano, gli dicono di sì. Ma, paradossalmente, egli diventa vittima anche dei suoi nemici, dei violenti, perché dedica una eccessiva attenzione a ciò che dicono e scrivono su di lui. Anziché ignorarli se ne cruccia, e spesso fa loro concessioni nella speranza di ingraziarseli, di stabilire migliori rapporti. Naturalmente essi interpretano la sua disposizione amichevole come un segno di debolezza e raddoppiano le loro richieste e i loro attacchi.
Abbiamo infine il caso di chi ha paura di venir superato e prova invidia per coloro che possono apparire migliori di lui. Questo difetto, innocuo in un artista o in uno scrittore, in un manager è devastante. Mi viene in mente un giovane dirigente intelligente, simpatico, intraprendente, che stava avviandosi a una brillante carriera. Egli però era interiormente insicuro, temeva di non riuscire. La sua prima reazione era positiva: circondarsi di collaboratori di valore, chiedere lâ??aiuto di esperti. Quando però costoro avevano successo, venivano elogiati, lo afferrava una terribile crisi di invidia che non riusciva a controllare. Era terrorizzato dalla paura che potessero prendere il suo posto. Allora incominciava a criticarli, a trattarli male, a rimproverarli in pubblico, a fare insinuazioni sul loro conto, al limite della maldicenza. Fino al momento in cui li mandava via. Col risultato di restare solo, di accentrare troppi compiti e quindi di accumulare ritardi e inefficienze.
Per qualche tempo gli andò bene. Ma a un certo punto il suo gioco venne scoperto e la sua carriera ne fu seriamente compromessa.
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