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Articolo 21 - Editoriali
La Nuova Questione Morale
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di Gian Carlo Caselli

da L'Unità

Ha spiegato molto bene Cancrini, su questo giornale, come la realtà minacciosa della guerra e del terrorismo tolga entusiasmi e capacità di fare progetti. Un modo concreto per non lasciarsi andare, è riportare il timone sulla rotta della questione morale. Specie dopo le celebrazioni per l'anniversario della morte di Enrico Berlinguer, si è riparlato un po' del problema. Ma il passaggio dal refrain a più robuste "canzoni" non sembra imminente.
Questione morale significa trasformazione della politica in lobby d'affari, contaminazione fra apparati dei partiti e mondo affaristico-economico. Ne sono figli il clientelismo e varie forme di illegalità, dalla corruzione alle collusioni con la mafia. Enrico Berlinguer era acutamente consapevole della diffusione di questa situazione e della necessità conseguente di riformarla. La questione morale fu perciò il terreno sul quale egli volle combattere un'importante battaglia: la più popolare delle tante da lui condotte ma anche l'ultima, perché interrotta dalla sua morte improvvisa: e tuttavia decisiva per la preparazione di quella stagione di Mani pulite e delle inchieste sui rapporti fra mafia e politica che segnò - per il nostro Paese - un forte recupero di legalità.
Per un po' di tempo sembrò che potesse prevalere quell'Italia che nei percorsi di Berlinguer era un traguardo: un'Italia che le regole le vuole applicare in maniera eguale per tutti e non soltanto enunciarle. Poi invece ebbero il sopravvento l'indifferenza o l'ostilità verso chi dall'interno dello stato cerca di garantire la legalità. Di qui gli attacchi sulla pretesa politicizzazione della magistratura e sul cosiddetto giustizialismo (da intendersi in realtà come paura di "troppa legalità": troppa, s'intende, per chi è insofferente ai controlli). Col risultato che il recupero di legalità in atto agli inizi degli anni Novanta è stato costretto a percorrere strade sempre più impervie. E la questione morale, che l'estendersi del controllo di legalità stava rilanciando, è stata relegata in soffitta. Perché se sono i magistrati a diventare le persone da mettere sotto accusa e la "questione" sono loro e non i corrotti e i collusi, è evidente che costoro se ne avvantaggiano: minore sarà la fatica per riproporre le pratiche di sempre, ci sarà più spazio e più tempo per ricostruire le fortificazioni sbrecciate dalle inchieste e dal profilarsi - grazie ad esse - di responsabilità anche sul piano politico e morale che altrimenti (senza il disvelamento giudiziario) nessuno avrebbe mai neanche pensato di far valere.
Sullo specifico versante dei rapporti fra mafia e politica, di fatto la questione morale sembra addirittura cancellata. Cronache anche recentissime, che utilizzano dati acquisiti in "presa diretta" in varie inchieste (mediante l'intercettazione telefonica o ambientale di conversazioni che definire inquietanti è davvero un eufemismo) offrono uno spaccato sconvolgente di un mondo opaco, popolato di personaggi sempre pronti a trescare con la mafia, che la questione morale non sanno neppure cosa sia. E quelli che si indignano sono sempre di meno: invece del "profumo di libertà" invocato da Paolo Borsellino poco prima della sua morte, sale il puzzo del compromesso e della normalizzazione. Del resto, difficile contrastare questa "tendenza" se si cancella (con una rimozione che trasversalmente percorre i vari schieramenti) anche ciò che in tema di questione morale - con specifico riferimento alle collusioni con la mafia - potrebbe avere un grande rilievo, per fare memoria di quel che è successo e al tempo stesso ostacolare il suo ripetersi. Sono state cancellate, ad esempio, le motivazioni delle numerose sentenze relative ad imputati "eccellenti" (sia di condanna, e ve ne sono di assai significative; sia di assoluzione, quasi sempre secondo lo schema tipico dell'insufficienza di prove, quindi con amplissimi margini per trarne conseguenze sul piano della responsabilità politico-morale). In questo clima, si è arrivati a trasformare in assoluzione persino la prescrizione del reato di associazione per delinquere "concretamente ravvisabile a carico" del sen. Andreotti e da lui "commesso" (così a pagina 1518 della sentenza delle Corte d'appello di Palermo del maggio 2003, dove - con riferimento ai fatti accaduti fino alla primavera 1980 - sta scritto che " l'imputato ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi").
Si badi bene: qui non si fa questione di colpevolezza o di innocenza. Le parole scritte in quelle sentenze - di condanna, assoluzione o prescrizione - possono essere, dal punto di vista della responsabilità processual- penale, giuste o sbagliate. Ma sono scritte: e invece è come se non lo fossero, perché sono state di fatto cancellate. E allora, come stupirsi se poi ad essere cancellata è la stessa questione morale? La cancellazione (oltre a contrabbandare la tesi rancida ma consolatoria di inchieste giudiziarie pilotate da "burattinai" interessati all'eliminazione dei loro avversari politici) può essere funzionale proprio all'obiettivo di rimuovere definitivamente questioni legate alla storia del nostro Paese. Ma non è certamente la cancellazione di alcuni elementi di conoscenza che avvicina alla verità, quale essa sia.  In questo quadro, la questione morale sembra purtroppo destinata ad un'irreversibile eclissi, per l'indebolimento degli anticorpi che dovrebbero sorreggerla. E dire che di questi anticorpi vi è oggi un grande bisogno. Perché la questione morale oggi si chiama anche conflitto di interessi. E perché quando si consente un qualche strappo alla giustizia e alla legalità, non è possibile sapere se e quando ci si fermerà. Mentre è certo che si favoriscono l'appannamento del comune senso morale e la desertificazione delle coscienze.

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