di Enrico Fierro
Il pagamento di due tranche, un «intoppo», lâ??ipotesi di un blitz armato: tutte le fasi della trattativa
da L'UnitÃ
ROMA Il momento più brutto nella notte di lunedì, quando si è temuto che lâ??unica strada per liberare Simona Pari, Simona Torretta e i due cooperanti iracheni, fosse quella di un blitz. Una irruzione in piena regola con «teste di cuoio» nel covo già individuato, in unâ??area tra Ramadi e Fallujia, il triangolo sunnita. Fonti delle varie intelligence presenti sul campo erano state concordi nellâ??indicazione dellâ??ultima prigione, ma forse notizie utili sono arrivate da Hatem Mutui Al Awad e da suo figlio Udai, i due capi tribù di Al Boethe catturati quattro giorni fa. Non facevano parte del gruppo di rapitori, ma di quel sequestro sapevano molto. I due, secondo lâ??intelligence americana, avrebbero ospitato i quattro ostaggi nella loro casa nei primi giorni del rapimento.
Due versioni. Il blitz, una eventualità valutata nella notte di lunedì, quando la trattativa con i rapitori è sembrata arenarsi. E qui le versione sono più di una. Secondo alcune indiscrezioni circolate in Kuwait e confermate dal direttore di «Al rai al Aam», la trattativa si sarebbe bloccata dopo il pagamento delle prima tranche del riscatto concordato con i mediatori, 500mila dollari, «versata» tra domenica sera e lunedì. Ma qualcosa - sempre secondo questa prima versione dei fatti - non è andata per il verso giusto. Câ??è stato un «intoppo tecnico», una incomprensione tra mediatori e sequestratori. A questo punto, il rischio che si profila, valutato da persone arrivate dallâ??Italia insieme a rappresentanti dellâ??intelligence giordana ed esponenti kuwaitiani, è quello di un allungamento dei tempi del rilascio e di un uso «politico» del sequestro legato alle prossime elezioni in Iraq. Un eventualità zeppa di rischi per la vita degli ostaggi. Lâ??ipotesi del blitz, secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stata scartata sia dai servizi italiani che da quelli giordani attivissimi in questa fase: troppi rischi. A quel punto la parola dâ??ordine è stata una sola: non spaventare i contatti, continuare a trattare. Fino alla fine. Ed è così, stando alle rivelazioni del quotidiano del Kuwait, si decide di pagare lâ??altra parte del riscatto. Cosa che avviene lunedì mattina: altri 500mila dollari versati ai sequestratori.
La seconda versione racconta invece unâ??altra storia. Sarebbero state proprio le notizie sul pagamento di un riscatto circolate in Kuwait sul quotidiano «Al rai al Aam» a rischiare di far saltare la trattativa. Perché proprio due dei punti di contatto più importanti, il Consiglio centrale delle tribù irachene - uno dei contropoteri più influenti nel mondo politico e tribale iracheno -, e il potentissimo Consiglio degli Ulema sunniti, si sono come sentiti «offesi» dalla diffusione di questa notizia, al punto da minacciare di interrompere ogni collaborazione.
Collaborazioni preziose. E si tratta - secondo le primissime ricostruzioni - di una collaborazione preziosissima. Soprattutto quella degli Ulema e in modo particolare di Abdul Salam Al Kubaisi, il leader del Consiglio. Perché ad ambienti sunnitti, secondo le più attendibili informazioni circolate in questi giorni, facevano riferimento i rapitori. O almeno una parte del gruppo che il 7 settembre scorso ha fatto irruzione nella sede di Baghdad di «Un Ponte per...». Gli analisti dellâ??intelligence che hanno analizzato le modalità del blitz di 21 giorni fa, ritengono che i venti uomini armati con armi moderne, giubbotti antiproiettile e divise simili a quelle dei corpi speciali del nuovo governo iracheno, fossero ex miliziani di Saddamm ricilatisi nel mondo della criminalità comune. Oppure si tratta di ex agenti segreti che hanno messo in piedi una propria rete autonoma, propri squadroni che intervengono nella crisi irachena.
Il velo nero. Lâ??ultimo messaggio degli Ulema rivolto ai rapitori è stato chiarissimo: «Vi chiediamo di liberare i due ostaggi italiani. Non vi è permesso di deformare lâ??immagine della resistenza». Parole ultimative. Lo stesso fatto che la consegna delle due ragazze al commissario straordinario della Cri, Maurizio Scelli, sia avvenuta a Baghdad in una zona sotto influenza sunnita e nei pressi di una moschea, non è senza significato. Le due Simone indossano abiti iracheni, in testa hanno il «niqab», il tradizionale velo nero che copre il volto delle donne, e sono liberate nei pressi di una moschea. Quelle immagini hanno fatto il giro del mondo, ed è come se gli Ulema avesero voluto «distinguersi», o distinguere i gruppi della «resistenza» che a loro fanno riferimento, dai macellai di Al-Zarqawi e dallâ??ala della guerriglia più legata ad Al Qaida.
Misteri anche sugli spostamenti degli ostaggi. Anche su questo le ricostruzioni sono confuse. Si è sempre detto che lâ??ultima prigione dei quattro cooperanti fosse in un villaggio tra Ramadi e Fallujia e che gli spostamenti sono stati massimo tre, ma sempre in quellâ??area ritenuta una enclave sicura dai gruppi della guerriglia. Secondo indiscrezioni, le due Simone e i due collaboratori iracheni sono state avvicinate a Baghdad e trasferite in una località a 40 chilometri a sud della capitale irachena.
Lo spostamento sarebbe avvenuto nella notte tra domenica e lunedì, quando ormai la trattativa era già ad un punto avanzato, nella città di Mahmudiya. Un luogo che in qualche modo ha già avuto a che fare con i sequestri di italiani. Perché in questâ??area, secondo quanto il 23 giugno scorso rivelò una fonte americana, furono tenuti prigionieri Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio, e proprio a Mahmudiya vennero catturate cinque persone accusate di far parte del commando che rapì i quattro body-guard italiani. Criminali comuni, secondo gli americani, appartenenti alla mafia che controlla la città .
La parola del re. Fondamentale il ruolo dei servizi segreti giordani. Secondo alcune fonti, la «svolta» del sequestro sarebbe in gran parte opera loro. Segnali molto forti di un esito positivo erano arrivati lâ??altro giorno dal re Abdallah di Giordania: «Spero di poter avere da qui a martedì buone notizie», confermando che «con lâ??aiuto dellâ??intelligence stiamo cercando di localizzare le due ragazze e stiamo utilizzando tutti i nostri contatti con leader e gruppi allâ??interno dellâ??Iraq per ottenere il loro rilascio».