di Daniela de Robert
Uno sciopero proclamato da chi non esiste, dai fantasmi che popolano il nostro paese. Fantasmi di ogni colore, razza, cultura, quelli che lavorano nelle campagne, nei ristoranti, nelle case, negli alberghi, nei cantieri edili, nelle imprese di pulizia. Uno sciopero degli irregolari, quelli che chiamiamo clandestini e che qui da noi sono per legge dei criminali, per chiedere legalità, diritti e anche doveri. Uno sciopero di chi non esiste, ma il cui lavoro nero, secondo uno studio del Cgia di Mestre del 2008, vale trenta milioni di euro, il quattro per cento del Pil italiano, tanto quanto la ricchezza portata dai turisti.
La proposta nasce online da un blog (http://primomarzo2010.blogspot.com/) e da un gruppo su Facebook che in poco più di un mese ha raccolto oltre ventimila persone, straniere e italiane.
L’idea non è nuova. Era il primo maggio del 2006 quando negli Stati Uniti migliaia di operai, badanti, infermieri, camerieri, giardinieri, stradini, artigiani, personale di pulizia, braccianti, lavoratori edili, lavapiatti, cuochi e aiuto-cuochi privi del permesso di soggiorno erano scesi nelle strade. Fantasmi anche loro, senza diritti, senza nome e senza status che abitano la ricca America. Un popolo che non esiste, ma che - secondo Standard & Poor’s – contribuiva allora a quasi il quattro per cento del prodotto interno lordo americano, duecento miliardi per un costo di appena dieci miliardi di dollari in assistenza sanitaria e scuole. Nel giorno della festa del lavoro nel mondo, i lavoratori invisibili americani si sono fermati semplicemente per esistere. “Siamo i cinesi d’America che tengono bassi i salari. Siamo le braccia senza le quali non mangereste pomodori, fragole, lattuga, carciofi o li paghereste il doppio. Siamo quelli che lavano le lenzuola nei vostri ospedali” gridavano. Sciopero del lavoro, dunque, ma anche sciopero dei consumi. Per rendere visibile il lavoro svolto ma non riconosciuto e per fare sentire il loro peso sull’economia a stelle e strisce.
Due anni dopo è stata la volta dei sans papiers francesi. Sostenuti dalla Confédération Générale du Travail e dall’associazione Droit Devant, tra il 15 aprile e il 20 maggio 2008, quasi cinquemila lavoratori irregolari hanno preso parte a cortei, manifestazioni, proteste di piazza. Erano maliani, senegalesi, ivoriani, erano cuochi, carpentieri, manovali, manutentori, stagionali, impiegati del settore alberghiero, della ristorazione, dell’edilizia, della sicurezza, della nettezza urbana, dell’agricoltura o dei servizi alla persona. Chiedevano un permesso di soggiorno e un contratto di lavoro regolare. Insieme a loro a protestare c’erano anche molti datori di lavoro.
Due anni dopo, l’idea arriva anche da noi con il movimento meticcio (così si autodefiniscono) Primo marzo 2010. “Cosa succederebbe – si legge nel loro blog – se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo?” Domande retoriche – penserà qualcuno. Ma il movimento meticcio Primo marzo 2010 intende andare fino in fondo e propone il primo sciopero nazionale dei lavoratori stranieri in concomitanza con quello dei sans papiers in Francia. Ventiquattro ore senza la manodopera clandestina che manda avanti una buona parte dell’economia sommersa italiana, quella per capirci dei raccoglitori di aranci e mandarini di Rosarno, o delle badanti ancora in nero che accudiscono i nostri anziani o quella degli operai delle piccole industrie.
Se davvero questi lavoratori che non esistono si fermassero, succederebbe quel che ha raccontato il film di Sergio Arau “Un giorno senza Messicani”. La pralisi del paese.
Ma l’idea di Primo marzo 2010 e del movimento francese La journe'e sans immigrés: 24h sans nous va oltre. Chi non potrà astenersi dal lavoro potrà aderire simbolicamente con l’astensione dagli acquisti.
“Vogliamo lanciare un messaggio alla società italiana – dice Stefania Ragusa, presidente del coordinamento nazionale Primo marzo 2010 – un messaggio culturale e politico che riguarda il valore della migrazione e l’importanza che siano difesi i diritti di tutti: italiani, stranieri, seconde generazioni, coppie miste…”. Ma l’idea è anche quella di dare voce a un soggetto sociale nuovo, forte e anche meticcio, in cui cioè italiani e stranieri insieme portino avanti una battaglia in nome dei diritti, oltre la pelle, oltre la provenienza, oltre quella frontiera di carta del permesso di soggiorno, a volte ben più feroce dei tanti muri che dividono il nostro mondo.
Il movimento sta prendendo corpo con undici comitati già costituiti. Il 17 gennaio ci sarà il lancio ufficiale. Il colore del movimento è già deciso: è il giallo, colore del cambiamento e non legato a realtà politiche. Chi vuole può iniziare da subito, indossando un nastro giallo. Tanto per riconoscerci e cominciare a farci vedere.