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Caserta- Bari, andata e ritorno
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di Pina Picierno

Caserta- Bari, andata e ritorno

Ci vediamo in una Caserta addormentata, al bar appena dopo il casello dell'autostrada per fare il punto sui fatti di Rosarno. Ci sono Mimma e Giampaolo del Centro Sociale Ex Canapificio e Gianluca della Caritas; la lettura dei giornali ci preoccupa, i racconti dei ragazzi che sono riusciti a tornare sani e salvi dall'inferno di Rosarno, ancora di più. Decidiamo di andare a capire cosa succede davvero. Partiamo di mattina presto, non è ancora giorno, gli occhi faticano un po' a restare aperti, e mentre Gianpaolo mette in moto, penso che i ragazzi che andiamo ad incontrare in genere a quest'ora sono già partiti da Castel Volturno, e da tempo sono fermi alle rotonde di Quarto, di Giugliano, di Caivano, di Licola, in attesa del "caporale" che passa a prenderli per portarli nei campi, a lavorare.
Arriviamo a Bari in anticipo, incontriamo Don Angelo, un sacerdote che ha passato la notte davanti ai cancelli del Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo, in attesa di notizie. Arriva anche Dario Ginefra, parlamentare del posto che segue con molta attenzione i destini dei ragazzi portati presso i "centri" baresi. Insieme decidiamo di andare subito al CIE, acronimo che significa Centro di Identificazione e Espulsione, lì sono stati trasferiti alcuni ragazzi. Don Angelo è preoccupato, pare siano in tanti ad essere stati trasferiti lì, in attesa di essere rimpatriati nei loro Paesi di origine. Riflettiamo ad alta voce sull'assurdità di quanto sta accadendo:
questi lavoratori sono stati sfruttati, maltrattati, ridotti in schiavitù da imprenditori italiani rimasti impuniti. Per la legge, in base all'articolo
18 del testo unico, avrebbero diritto al permesso di soggiorno; in un Paese civile avrebbero diritto anche alle scuse delle nostre istituzioni su quanto sono stati costretti a subire. Ma sempre più spesso mi ritrovo a pensare che di civile, nella nostra Italia, ci sta rimanendo ben poco: non è civile, ed è anche profondamente ingiusto, fare la voce grossa con deboli. Con chi ha come unica colpa quella di essere arrivato qui per sfuggire alla guerra e alla disperazione, semplicemente per lavorare, alla ricerca di una vita dignitosa. Me lo dice Gianluca : "Ma ci pensi, che hanno fatto di male questi ragazzi?" Ci penso, e la risposta è niente.
Entriamo al Centro, ci accoglie il dirigente della struttura che ci fa attendere il tempo necessario per ottenere le autorizzazioni dalla Prefettura. Arriva la Vice Prefetto, e ci accomodiamo nella stanza dove gli ospiti seguono i corsi di italiano. Pochi minuti e arrivano anche i ragazzi.
Sono nove, di diverse nazionalità, si mettono quasi in fila, per mostrarci i documenti che hanno portato per raccontarci la loro situazione. Aspettano pazienti, parlano uno alla volta, rispettosi anche del nostro inglese. Hanno lo sguardo ferito, ma attento, lucido. Scopriamo che Stephen nel settembre scorso ha partecipato alla sanatoria e che quindi viene trattenuto in maniera illegittima. Mi colpisce la sua compostezza. Fosse successa a me, una cosa del genere, sarei furiosa. Stephen non lo è: si fida del nostro Paese, delle nostre istituzioni e della nostra giustizia con la forza di chi sa di essere dalla parte giusta. Quella forza enorme mi commuove. I miei amici mi ricordano che è tardi, dobbiamo correre al Care. Siamo lì in pochi minuti, i moduli dove si trovano gli immigrati si trovano accanto alla pista del vecchio aeroporto, la attraversiamo in macchina, Gianpaolo accelera e simulando la voce del capitano di un jet, ci dice di allacciarci le cinture, ma arriviamo prima di poter giocare a fare i turisti. Il cancello è alto e ci sono tanti militari in divisa a presidiarlo. Dopo aver consegnato i nostri documenti entriamo. E'ora di pranzo, molti mangiano nel capannone ristorante. Chiacchieriamo con i ragazzi, molti abitano a Castel Volturno, abbracciano Gianluca e Gianpaolo, felici di rivederli. Chiedo di incontrare la dirigente dell'ufficio immigrazione, mi fanno sapere che è molto impegnata e che non può ricevermi. La Vice Prefetto comunque ci fornisce i dati che chiediamo: ci informa che stanno procedendo all'identificazione di tutti gli ospiti, ad ieri quasi la metà  dei 324 ragazzi arrivati da Rosarno, non era stata ancora identificata. Moltissimi risultano in possesso del permesso di soggiorno e sono già tornati a casa. Insisto per avere i nominativi di quelli trattenuti, senza riuscirci.
Mentre ritorniamo verso Caserta il telefono dei miei compagni di viaggio continua a squillare chiamano dal Cara di Crotone, dai Centri dove sono stati portati, ma anche dalle loro case, i ragazzi venuti qua in cerca di speranza. Chiedono notizie, informazioni, si preoccupano dei loro connazionali. Chiamano, credo, anche per il desiderio di ascoltare una voce disponibile, attenta. Amica. Ci lasciamo che è notte di nuovo, ci salutiamo in fretta con l'impegno di risentirci in caso di novità. Il telefono squilla stamattina, è Gianpaolo, altri 16 ragazzi sono stati portati nei CIE ieri sera, evidentemente dopo la nostra partenza. Penso ala fiducia di Stephen nello Stato italiano e mi viene da star male.


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