di redazione*
"Neanche ai tempi di Mubarak". Il commento di Human Rights Watch è sintetico, ma rende bene l'idea. Neanche ai tempi di Mubarak la polizia si era permessa di perquisire gli uffici di una dozzina di organizzazioni per il rispetto dei diritti umani, Ong nazionali, Ong internazionali, gruppi per la promozione della democrazia. Tutte realtà legate al "mondo di Piazza Tahrir". E cosa cercavano i poliziotti? Droga? Armi? No. Libri contabili. Tracce di donazioni dall'estero. Non è difficile capire quale sia il terribile sospetto. Se quelle tracce venissero trovate il governo avrebbe la prova che quei gruppi, nazionali e non, sono parte del complotto contro il nuovo Egitto.
Complotto è una parola che i leader arabi conoscono bene: in Siria non c'è forse un complotto contro Bashar e il glorioso Baath? Il Libia Gheddafi non parlò di complotto colonialista? E in Bahrain? Quando la popolazione, in maggioranza sciita, è scesa in piazza, non si è parlato di un complotto iraniano? E i sauditi poi, non sono maestri di complotti e contro-complotti?
L'accusa è tanto risibile quanto grave. Con quei regimi, privi del minimo senso del pudore, si rischia grosso appena la parola "complotto" viene accennata. E' sempre un complotto internazionale, un complotto contro la nazione araba, contro l'onore nazionale e via discorrendo.
Peggio di così il feldmaresciallo Tantawi non poteva fare. Il segnale è tremendo. Un attacco al cuore del popolo di Piazza Tahrir. Un giro di vite che fa presagire foschi scenari.
*da Il mondo di Annibale