di Raffaella Cosentino*
Un nuovo step della campagna LasciateCIEntrare che ha permesso di rimuovere il divieto per la stampa sui centri per migranti. Incontro gratuito di formazione all’Fnsi il 30 gennaio dalle ore 10
Si chiamano Cie, Centri di identificazione e di espulsione. Ma pochi sanno cosa c’è dietro questa sigla e molti ne ignorano perfino l’esistenza. Sono più blindati di un penitenziario di massima sicurezza e ognuno costa diversi milioni di euro. Dovrebbero servire all’identificazione e al rimpatrio degli immigrati che non hanno rispettato l’ordine di espulsione dall’Italia. Ma in realtà sono pochi i detenuti che vengono rispediti nel paese d’origine. In compenso, la scorsa estate l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni (Lega Nord) ha esteso la detenzione nel Cie fino a 18 mesi, aumentandone ovviamente anche i costi. Quando si chiamavano Cpt (centri di permanenza temporanea), introdotti dalla legge Turco-Napolitano, la reclusione durava due mesi. Il pacchetto sicurezza leghista l’ha portata a sei mesi nel 2009. Infine l’ultimo atto: la detenzione passa a un anno e mezzo. Questo nonostante il parere contrario delle associazioni umanitarie. Quelle strutture non sono pensate per una reclusione di lungo periodo e non sono adeguate, dicono le Ong che temono per le violazioni dei diritti umani. Legali ed esperti dei fenomeni migratori ribadiscono che allungare così tanto la pena non serve a rimpatriare una persona. Se non ci sono accordi bilaterali con il paese d’origine o se molti stati dell’Africa Subsahariana non rispondono alle richieste di rimpatrio, non importa che un migrante stia nel centro due settimane o due anni. È ininfluente ai fini del rimpatrio ma è rilevante ai fini delle nostre tasche. Un esempio: con quasi dieci milioni di euro arrivati dall`Europa per il 2008, sono stati rimpatriate con la forza appena 3296 persone, di cui 2098 cittadini di paesi terzi sono stati espulsi con voli di linea, il resto con voli charter appositamente organizzati. Il sistema dei rimpatri costa uno sproposito. Sugli aerei, dove spesso i migranti si ribellano e non vogliono salire, viaggiano scorte di 70 – 80 agenti per 30 migranti.
Dentro il Cie, finiscono gli immigrati che non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno ottemperato all’espulsione. A volte sono praticamente ‘italiani’. Gente che ha lavorato in Italia per molti anni, ha perso il lavoro con la crisi e con esso il permesso di soggiorno. Vengono prelevati dopo un controllo per la strada, sull’autobus o al supermercato. A volte è successo perfino che i vigili urbani siano andati a prendere gli irregolari fin dentro casa. Particolari inquietanti, che ricordano momenti bui della nostra storia. Dovrebbe essere una ‘detenzione amministrativa’, ma è circondata da mura altissime, inferriate, cordoni di sicurezza e forze dell’ordine. Gli immigrati non sono ‘accolti’ in questi luoghi. Sono reclusi. Fino a quando non lo sa nessuno. Se non vengono rimpatriati, alla fine della detenzione, i migranti ricevono l’ennesima espulsione. Escono e vivono nell’angoscia di essere rintracciati in un altro controllo di polizia e finire di nuovo nel circuito dei Cie. Poi ci sono gli ex detenuti. Pur avendo già scontato una condanna in carcere per un qualche reato, si ritiene che debbano ancora essere identificati, così finiscono reclusi al Cie. Una sorta di supplemento di pena fuori dallo stato di diritto.
Sono 11 i centri di identificazione e di espulsione italiani. Si trovano a Bari, Bologna, Modena, Milano, Roma, Torino, Gradisca d’Isonzo, Brindisi, Lamezia Terme e due sono a Trapani. Sono tanti i punti oscuri attorno a questi centri. Ad esempio non è possibile vedere e conoscere le convenzioni firmate tra il ministero dell’Interno e gli enti gestori. Quanto costa effettivamente ogni Cie? Quanti soldi sono stati spesi nella costruzione e nella gestione non è dato sapere. Nel 2011 si è arrivati alla censura di Stato. Il primo aprile scorso, il ministro dell’Interno Roberto Maroni firmò una semplice circolare, la n.1305, con la quale bandiva i giornalisti e anche i parlamentari dall’accesso ai centri con un divieto a tempo indeterminato. La stampa, secondo Maroni, era un ‘intralcio’ nell’ emergenza nordafrica. Senza ‘intralci’ fra i piedi si sono potute costruire delle tendopoli come quella di Palazzo San Gervasio (Pz) trasformate in Cie, dove ai detenuti venivano tolte perfino le scarpe per evitarne la fuga. La grande gabbia di Palazzo San Gervasio è stata chiamata anche la “Guantanamo italiana”. Grazie a un’inchiesta giornalistica e a un’ispezione dei deputati Giulietti, Calipari e Touadì è stata infine chiusa di corsa dal Viminale. All’interno non venivano rispettati i più elementari diritti dell’uomo.
Uno dei primi atti del nuovo ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri è stato quello di rimuovere l’ignobile circolare 1305. E’ stato un grande successo ottenuto dalla campagna LasciateCIEntrare.
Nata da un appello di giornalisti (http://fortresseurope.blogspot.com/2011/05/lasciateci-entrare-lappello-dei.html) la Campagna si è estesa alla politica e alla società civile, supportata dalla Federazione nazionale della Stampa (Fnsi) e dall'Ordine nazionale dei giornalisti. Il 25 luglio 2011 davanti a Cie e Cara di tutta Italia, ci sono stati presidi e mobilitazioni di giornalisti e autorità contro il divieto.
Infine a dicembre è arrivato il ripristino dell'autorizzazione all'accesso dei giornalisti, previo accordo con la prefettura competente. Ora i promotori di LascietCIEntrare si appellano alla responsabilità dei giornalisti: è un dovere informare l’opinione pubblica sulla realtà dei Cie. Per questo c’è un gruppo Facebook su cui condividere le notizie. Si stanno anche organizzando incontri di approfondimento con giuristi e legali in diverse città. Il prossimo sarà a Roma lunedì 30 gennaio 2012, presso la FNSI, dalle ore 10.00 alle ore 13.00. Infine, per i giornalisti interessati, come si entra in un Cie? Qui ci sono tutte le informazioni: http://fortresseurope.blogspot.com/2011/12/e-adesso-tutti-nei-cie-come-si-fa.html
* campagna LasciateCIEntrare