Articolo 21 - INTERNI
Una curva destrorsa. L'incidente mortale di Carmine Spina
di Filippo Vendemmiati
“Sono Gerardo Spina di Cesinali, piccolo paese in provincia di Avellino. La storia che vengo a raccontare è terribile per dei genitori”.
Comincia così una delle tante lettere che mi sono arrivate in quest’ultimo periodo da persone che vogliono “semplicemente” giustizia, straziate dalla perdita di un loro caro, vittima vera o presunta di “malagiustizia”. Chi mi scambia per un avvocato o per un giudice, chi cerca anche solo una valvola di sfogo. Tutti, dopo mesi, anni di dolore e riservatezza, passati nell’illusione che la verità sia un percorso lungo ma giusto, complesso ma silenzioso, decidono quasi per esaurimento di rendere pubblica con appelli, foto, interviste la loro tragedia privata. E così chiede il signor Spina, ex maresciallo dell’Aeronautica Militare: “Non posso e non lo farò mai: arrendermi dinanzi ad un episodio così grave, anche perché vorrei che altri ragazzi e le loro famiglie non passassero quello che stiamo passando noi”.
“L’episodio” riguarda la morte del figlio, Carmine, 24 anni, in un incidente stradale avvenuto il 26 dicembre 2005 sulla statale 574 in località Serino, provincia di Avellino. Era domenica pomeriggio, il ragazzo viaggiava su una moto Suzuki, nuova fiammante da poco acquistata con il proprio stipendio da operaio. Un impatto violentissimo con un’auto, a bordo tre persone, che usciva da una strada laterale. Il giovane moriva sul colpo, mentre l’amico che lo affiancava su un’altra moto, riusciva ad evitare l’impatto e a salvare la vita, fratture alle gambe. Entrambi provenivano da una strada con diritto di precedenza. I genitori del ragazzo accorsero sul posto pochi minuti dopo quando già i sanitari avevano constatato il decesso alla presenza di quattro carabinieri della locale stazione. La dinamica non è chiara, scrissero subito i giornali, perché l’auto era inspiegabilmente fuori strada, lontano dalla moto. Verità, dubbi, bugie, false testimonianze emergeranno solo molto tempo dopo durante il processo al conducente della vettura, un artigiano della zona. Il maresciallo dei carabinieri ammetterà infatti di non aver fatto in modo preciso i necessari rilievi di legge e in particolare di “aver spostato l’auto perché al momento non ci si era resi conto della gravità dei fatti”. Bugiardo o incompetente? si chiede il signor Spina, allegando alla sua lettera numerosi documenti: le foto del figlio morto sul colpo, il casco insanguinato e la planimetria della zona, la strisciata di una lunga frenata attribuibile alla moto.
“Le stranezze postume” emerse nel processo continueranno perché, appurato che il ragazzo usciva da una curva verso destra prima di scontrarsi con l’auto, che comunque doveva dargli la precedenza, quant’è la distanza tra la curva e la via secondaria: “Otto metri, se non sbaglio” ripete più volte il carabiniere davanti al pubblico ministero che lo interrogava in aula. Peccato che i metri siano 80. “Come chiamare questo modo di fare, complicità o omertà?” mi chiede ancora il padre del ragazzo. Altri particolari: l’auto è stata dissequestrata solo 19 giorni dopo l’incidente mortale, un successivo perito è stato nominato due mesi dopo ma non è stato ascoltato come testimone nel processo. Risultato finale: la sentenza di primo grado si è chiusa con l’assoluzione dell’automobilista dopo che il p.m. aveva chiesto otto mesi.
Il giudice nella sentenza che scagiona l’autista ha scritto che “l’intersezione tra le due vie si trovava subito dopo una via destrorsa. Per come chiarito dall’ufficiale di polizia giudiziaria, intervenuto sul luogo dei fatti per i rilievi del caso, trattasi di un incrocio particolarmente pericoloso a cagione della scarsa visibilità di cui dispone chi proviene dalla via secondaria”. E’ un dato certo che i metri sono ottanta e non otto, come è una notizia che la richiesta d’appello è stata respinta e la parte civile è in attesa di definizione. E’ a questo punto che il signor Spina ha deciso di denunciare il maresciallo dei carabinieri per falsa testimonianza, per non aver eseguito correttamente i necessari rilievi e aver alterato le fonti di prova. Anche in questo caso c’è stata la richiesta di archiviazione sulla quale deve pronunciarsi il Gip. Il padre del ragazzo chiude la sua lunga lettera con due altre note tecniche. Scrive: “Il perito da me nominato ha accertato che l’auto era sulla striscia continua che divide la strada, come se fosse contromano, tagliando la strada per diversi metri a mio figlio, metri che potevano salvarlo. Infine, da quando ho scelto di rendere pubblica la mia denuncia, 'ignoti vandali' hanno più volte distrutto, rubato e sfregiato la lapide posta in ricordo dove avvenne l’incidente di mio figlio”. Oggi il signor Gerardo Spina, dopo essersi rivolto senza ottenere risposta all’ex ministro della giustizia Alfano, lancia appelli sulle tv e i giornali locali e distribuisce volantini durante le partite dell’Avellino Basket, serie A.
Nel suo ultimo messaggio mi dice: “Io sono di parte, ma non credo di aver preso un abbaglio. Perdere un figlio non è come perdere alla lotteria, o saltare una promozione. Vorrei che questo lo capisse chi ha fatto quel che ha fatto noncurante dei genitori e agendo con una cinismo estremo e senso di onnipotenza. La mia speranza è che si possa conoscere questa storia. Non mi aspetto la riapertura del caso, mi creda sto spendendo solo per senso di giustizia e perché simili persone non facciano male ad altri. Io, se posso chiederlo a lei, avrei pensato anche a sovvenzionare un libro su questa vicenda. Cordialmente la saluto e spero possa fare qualcosa per mio figlio”.
Gerardo Spina
Comincia così una delle tante lettere che mi sono arrivate in quest’ultimo periodo da persone che vogliono “semplicemente” giustizia, straziate dalla perdita di un loro caro, vittima vera o presunta di “malagiustizia”. Chi mi scambia per un avvocato o per un giudice, chi cerca anche solo una valvola di sfogo. Tutti, dopo mesi, anni di dolore e riservatezza, passati nell’illusione che la verità sia un percorso lungo ma giusto, complesso ma silenzioso, decidono quasi per esaurimento di rendere pubblica con appelli, foto, interviste la loro tragedia privata. E così chiede il signor Spina, ex maresciallo dell’Aeronautica Militare: “Non posso e non lo farò mai: arrendermi dinanzi ad un episodio così grave, anche perché vorrei che altri ragazzi e le loro famiglie non passassero quello che stiamo passando noi”.
“L’episodio” riguarda la morte del figlio, Carmine, 24 anni, in un incidente stradale avvenuto il 26 dicembre 2005 sulla statale 574 in località Serino, provincia di Avellino. Era domenica pomeriggio, il ragazzo viaggiava su una moto Suzuki, nuova fiammante da poco acquistata con il proprio stipendio da operaio. Un impatto violentissimo con un’auto, a bordo tre persone, che usciva da una strada laterale. Il giovane moriva sul colpo, mentre l’amico che lo affiancava su un’altra moto, riusciva ad evitare l’impatto e a salvare la vita, fratture alle gambe. Entrambi provenivano da una strada con diritto di precedenza. I genitori del ragazzo accorsero sul posto pochi minuti dopo quando già i sanitari avevano constatato il decesso alla presenza di quattro carabinieri della locale stazione. La dinamica non è chiara, scrissero subito i giornali, perché l’auto era inspiegabilmente fuori strada, lontano dalla moto. Verità, dubbi, bugie, false testimonianze emergeranno solo molto tempo dopo durante il processo al conducente della vettura, un artigiano della zona. Il maresciallo dei carabinieri ammetterà infatti di non aver fatto in modo preciso i necessari rilievi di legge e in particolare di “aver spostato l’auto perché al momento non ci si era resi conto della gravità dei fatti”. Bugiardo o incompetente? si chiede il signor Spina, allegando alla sua lettera numerosi documenti: le foto del figlio morto sul colpo, il casco insanguinato e la planimetria della zona, la strisciata di una lunga frenata attribuibile alla moto.
“Le stranezze postume” emerse nel processo continueranno perché, appurato che il ragazzo usciva da una curva verso destra prima di scontrarsi con l’auto, che comunque doveva dargli la precedenza, quant’è la distanza tra la curva e la via secondaria: “Otto metri, se non sbaglio” ripete più volte il carabiniere davanti al pubblico ministero che lo interrogava in aula. Peccato che i metri siano 80. “Come chiamare questo modo di fare, complicità o omertà?” mi chiede ancora il padre del ragazzo. Altri particolari: l’auto è stata dissequestrata solo 19 giorni dopo l’incidente mortale, un successivo perito è stato nominato due mesi dopo ma non è stato ascoltato come testimone nel processo. Risultato finale: la sentenza di primo grado si è chiusa con l’assoluzione dell’automobilista dopo che il p.m. aveva chiesto otto mesi.
Il giudice nella sentenza che scagiona l’autista ha scritto che “l’intersezione tra le due vie si trovava subito dopo una via destrorsa. Per come chiarito dall’ufficiale di polizia giudiziaria, intervenuto sul luogo dei fatti per i rilievi del caso, trattasi di un incrocio particolarmente pericoloso a cagione della scarsa visibilità di cui dispone chi proviene dalla via secondaria”. E’ un dato certo che i metri sono ottanta e non otto, come è una notizia che la richiesta d’appello è stata respinta e la parte civile è in attesa di definizione. E’ a questo punto che il signor Spina ha deciso di denunciare il maresciallo dei carabinieri per falsa testimonianza, per non aver eseguito correttamente i necessari rilievi e aver alterato le fonti di prova. Anche in questo caso c’è stata la richiesta di archiviazione sulla quale deve pronunciarsi il Gip. Il padre del ragazzo chiude la sua lunga lettera con due altre note tecniche. Scrive: “Il perito da me nominato ha accertato che l’auto era sulla striscia continua che divide la strada, come se fosse contromano, tagliando la strada per diversi metri a mio figlio, metri che potevano salvarlo. Infine, da quando ho scelto di rendere pubblica la mia denuncia, 'ignoti vandali' hanno più volte distrutto, rubato e sfregiato la lapide posta in ricordo dove avvenne l’incidente di mio figlio”. Oggi il signor Gerardo Spina, dopo essersi rivolto senza ottenere risposta all’ex ministro della giustizia Alfano, lancia appelli sulle tv e i giornali locali e distribuisce volantini durante le partite dell’Avellino Basket, serie A.
Nel suo ultimo messaggio mi dice: “Io sono di parte, ma non credo di aver preso un abbaglio. Perdere un figlio non è come perdere alla lotteria, o saltare una promozione. Vorrei che questo lo capisse chi ha fatto quel che ha fatto noncurante dei genitori e agendo con una cinismo estremo e senso di onnipotenza. La mia speranza è che si possa conoscere questa storia. Non mi aspetto la riapertura del caso, mi creda sto spendendo solo per senso di giustizia e perché simili persone non facciano male ad altri. Io, se posso chiederlo a lei, avrei pensato anche a sovvenzionare un libro su questa vicenda. Cordialmente la saluto e spero possa fare qualcosa per mio figlio”.
Gerardo Spina
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