di Filippo Vendemmiati e Claudia Guido
Se tuo padre muore dopo due giorni passati sotto la tutela dello stato, come minimo vuoi sapere le cause della sua morte, prima ancora che vengano accertati i diversi gradi di responsabilità. Rudra (nella foto),, Elia e Aruna sono i figli di Aldo Bianzino, falegname umbro morto in circostanze ancora da chiarire il 14 ottobre 2007 dopo due giorni di detenzione nel carcere di Perugia.
I figli di Bianzino hanno attraversato in questi anni diverse fasi processuali. Prima l'archiviazione del processo per omicidio volontario, poi l'apertura del processo per omissione di soccorso in cui l'unico imputato è Gianluca Cantoro, guardia penitenziaria in servizio al Carcere di Capanne la notte in cui morì Aldo.
All'udienza del 16 Gennaio, i medici legali, consulenti del Pubblico Ministero si sono confrontati su tesi opposte con il perito di parte civile, il Dott. Vittorio Fineschi. Il punto di partenza è comune: Aldo Bianzino è morto per un'emorragia sub aracnoidea, inoltre è presente una lacerazione epatica. Ma che cosa ha provocato questa emorragia? Potrebbe essere stato un aneurisma, per altro mai riscontrato su Bianzino. I periti si scontrano anche sulle cause delle lesioni al fegato: il consulente del p.m. sostiene possano essere state causate da manovre rianimatorie, al perito di parte civile questa pare essere un’ipotesi del tutto improbabile: le cause scatenanti potrebbero essere altre, non esclusa l’origine traumatica. Nell’ultima udienza del 23 gennaio, i tre figli hanno ascoltato per la prima volta l'imputato, Gianluca Cantoro, sovrintendente della polizia penitenziaria, accusato di omissione di soccorso. La guardia giurata ha negato in qualsiasi modo di aver ricevuto e ignorato una qualsiasi richiesta di aiuto da parte di Aldo Bianzino: “Nessuno chiese l’intervento medico, il campanello della cella non ha mai suonato, l’ho visto sempre dormire nel suo letto “. Quella notte accaddero alcune stranezze che la guardia non ha saputo spiegare: ad esempio il fatto che la finestra della cella di Bianzino fosse spalancata ed era autunno inoltrato quando alle otto di mattina l’uomo fu ritrovato senza vita. Nel capo di imputazione si scrive che Cantoro non fece i passaggi di ispezione delle celle dalle tre e alle sette del mattino, almeno questo è quanto si può dedurre dalle telecamere interne. “Io ho fatto i miei giri, i miei controlli- ha dichiarato l’imputato - le telecamere riprendono solo otto secondi ogni due minuti “.
Al termine dell’udienza i legali di parte civile, Fabio Anselmo, Cinzia Corbelli e Massimo Zaganelli, hanno richiesto una nuova perizia medico legale per chiarire le cause della morte. Alla richiesta si sono opposti il pubblico ministero e l’avvocatura dello stato in base al principio che “è estranea a questo processo”, si è invece astenuto il legale che difende il sovrintendente di polizia. I giudici decideranno alla fine dell’istruttoria, il prossimo 27 febbraio.
I figli di Aldo Bianzino hanno diffuso questo comunicato:
"Dopo che lo stato ci ha restituito nostro padre morto, quando viceversa stava benissimo prima del suo arresto, ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso.
E’ incredibile che, se l'imputato non si è opposto alla richiesta di perizia sulle cause della morte di nostro padre, si siano invece opposti proprio i massimi rappresentanti dello Stato: il pubblico ministero e l'avvocato del ministero di grazia e giustizia.
Ne deduciamo che se l'imputato non teme la perizia, la temono invece loro.
Ci chiediamo in tutto ciò dove sia l'interesse pubblico e della collettività, vista la natura del processo.
Siamo indignati,
i figli di Aldo Bianzino
Elia, Rudra e Aruna Bianzino."
Tutto cominciò in un casolare sulle colline di Perugia. Qui abitava Aldo Bianzino, 44 anni, con la seconda moglie, Roberta Radici e con il figlio Rudra, quattordicenne, quando fu arrestato per la coltivazione di qualche piantina di marijuana. La storia ci parla non solo di un uomo morto in un carcere nel quale era entrato in perfetto stato di salute, ma ci propone anche la vicenda del figlio più giovane, a cui la vita ha strappato l’adolescenza, costringendolo a diventare grande. Ed è la prima e quasi violenta sensazione che si prova quando lo si vede e lo si sente parlare.
“Rudra ma quanti anni hai ?” “Sono ancora minorenne” ci disse l’anno scorso, quando lo incontrammo per la prima volta a Roma.
Chissà, forse Rudra sarebbe stato così lo stesso, maturo e profondo. Ti ascolta e poi sorprendendoti risponde alla vera domanda che non hai avuto il pudore e il coraggio di fargli:
“La mia casa è sperduta sulle colline, c’è un lungo sterrato” ci telefona poco prima dell’appuntamento, “aspettatemi al distributore che vi vengo a prendere”.
Rudra arriva alla pompa di benzina di Pietralunga dentro al suo ape cross, sorridente e contento di vederci. Entriamo in un bar, la gente ci guarda, tutti hanno ben presente chi è Rudra.
Alla domanda come stai risponde : "Il mio avvocato è stato aggredito, ecco come sto”.
Vorremmo andarci piano con le domande, ascoltarlo e basta, ma abbiamo poco tempo, e lui ha chiaro quello che vogliamo sapere da lui.
“Mi sento come in prigione, incastrato in una situazione irrisolvibile. Se muore tuo padre e tu hai 14 anni, probabilmente ti sembra di aver già perso molto. Poi se perdi dopo qualche mese tua nonna novantenne, probabilmente assorbi il colpo. Poi però, quando muore qualche mese dopo anche tua madre, allora sei certo di aver perso tutto, di essere solo, di non aver riferimenti, non c’è nessun che ti dice cosa devi fare o che ti spiega cosa fare. Ho vissuto a lungo come sospeso, in una casa senza regole, senza porte e doveri, nemmeno libero di piangere, perché tanto non arrivava nessuno quando avevo bisogno. Ma questa casa non l’ho mai voluta abbandonare, rappresenta la memoria che non se ne deve andare. Da questa casa è ripartita in qualche modo la mia seconda vita di bambino, come se fossi tornato piccolo con una lunga lista di perché. Perché è morto tuo padre e nessuno ti dice il motivo. Perché se un uomo entra in carcere sano e giovane, ne esce morto dopo due giorni. Perché per sapere cosa è successo devi assumere un avvocato, devi andare in tribunale a vedere gente che litiga e che poco ha a che fare con te e la tua realtà. Perché devi imparare in tribunale, invece che a scuola, termini giuridici, perché devi affidarti ad un avvocato e perché devi anche pagarlo. Già, i soldi: un tempo li chiedevo per il gelato, il cinema, semplicemente quando servivano. Poi, invece avevo proprio bisogno di soldi, quelli veri. Soldi per l’avvocato, per i documenti, per le bollette, ma prima di tutto soldi per mangiare. Se muoiono i tuoi genitori e hai 14 anni, allora lo Stato ti cerca un tutore, altrimenti ti mette in istituto. Per questo motivo mio zio ha lasciato il suo lavoro in Germania ed è venuto a vivere con me, con suo nipote. Ha perso il lavoro là, ma qui non l’ha trovato. Di cosa viviamo? Sto ancora utilizzando i soldi che mi ha dato Beppe Grillo, che qualche hanno fa mi ha aperto un conto, in cui ha depositato una cifra consistente, che ora sta per esaurirsi.
Oggi ho 18 anni, quest’anno finisco le superiori, mi piacerebbe continuare gli studi, ma anche in questo caso mi chiedo se valga la pena di lasciare qui parte della mia vita per continuare a scontrarmi con le istituzioni che non hanno mai risposto alla mia unica domanda: "Come è morto mio padre?". Oltre ad aver perso tutti i miei affetti ho anche perso fiducia non solo nello Stato, ma in qualsiasi autorità, in qualsiasi adulto che ricopra un ruolo istituzionale, gente che dovrebbe proteggerti e invece ti lascia orfano e senza nemmeno spiegarti il perché. Io sono sempre qua, tornate presto e la prossima volta se avete più tempo saliamo insieme fino alla mia casa in collina. Vi mostrerò la strada dove ho visto per l’ultima volta mio padre mentre se ne andava sulla macchina dei carabinieri”.
A presto Rudra.
*foto di Claudia Guido