di Bruna Iacopino
Il titolo evocativo “Stoffe di silenzio” dedicato alla vicenda di Aldo Bianzino, morto nel carcere di Capanne nel 2007, dopo In morte segreta- conoscenza di Stefano Cucchi, rappresenta il secondo capitolo del progetto “Parole oltre le sbarre”… un progetto che attraverso lo strumento del teatro civile riporta in primo piano il tema dei diritti “dietro le sbarre”.
Il progetto, nato dall’associazione no-profit Alice in cerca di teatro in collaborazione con Nessuno Tocchi Caino, A buon diritto, Ristretti Orizzonti e Articolo 21 parte da un’idea di base: “… poter aprire, in Italia, un discorso su vari fronti: un discorso che riguardi i diritti dei detenuti unitamente alla riflessione su alcuni episodi di cronaca che meritano di essere raccontati… credo che per un paese civile sia fondamentale capire l’importanza di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e di coloro che operano nelle case di reclusione.” Così l’attore Ugo De Vita, tra i fautori del progetto, già autore di In morte segreta, spiega il senso del progetto, mentre si appresta a ultimare la lavorazione del nuovo “Stoffe di silenzio” (un recital, un video di 14 minuti girato a Pietralunga, una scrittura per testimoniare) che verrà presentato martedì 7 dicembre a Roma alle ore 12 presso via di Torre Argentina e in un secondo appuntamento alla Sala stampa della Camera dei deputati giovedì 16 dicembre alle ore 18.00..
“C’è una verità inconfutabile- spiega De Vita riferendosi al titolo scelto- in quel carcere ( il carcere di Capanne) in un certo momento le stoffe servirono per occludere, nascondere, coprire, mentre invece è importante che adesso vengano tirate via.”
Il secondo capitolo di Parole oltre le sbarre sarà dedicato alla vicenda di Aldo Bianzino…
La storia di Aldo per alcuni aspetti è ancora più rilevante di quella di Stefano: in questo caso la magistratura, in fase istruttoria e in una prima fase giudicante, ha stabilito l’archiviazione… però è chiaro che rimane senza risposta l’esigenza della famiglia di avere delle risposte su quella morte avvenuta nel 2007. I famigliari, prima Roberta e adesso Rudra, che all’epoca aveva 14 anni, chiedono chiarezza è una morte che ha lasciato molti dubbi. Credo sia importante indicare a tutti la strada della trasparenza. In questo anche la polizia penitenziaria ha dimostrato, assistendo ai nostri incontri, che tiene molto a che le condizioni delle carceri vengano migliorate per tutti e che ci sia una seria attenzione alla formazione: questo è quanto dovrebbe venir fuori da questa esperienza di teatro civile.
Che tipo di risposta ha avuto In morte segreta, nei luoghi in cui è stato presentato?
In morte segreta è nato nel modo più semplice guardando un tg, poi è venuto lo spettacolo, gli incontri con la famiglia, con i genitori e la famiglia di Stefano. In Morte segreta è un’espressione molto forte, diretta, per raccontare una vita e un’esistenza, e credo che anche se la morte di Stefano è avvenuta in strane circostanze ( cosa che spetta alla magistratura verificare), questo vada messo in secondo piano rispetto al valore della persona… alla vita stessa.
Mi sembra che molte volte la vita dei detenuti venga considerata una vita di serie B invece, In morte segreta ha portato questo elemento al centro della discussione.