di Roberto Monteforte
Lâ??inviato del Papa a Baghdad tornò ottimista sulla possibilità di aprire un negoziato vero. Le rivelazioni del cardinale Martino, diplomatico della Santa Sede, suscitano domande inquietanti sui giorni che hanno preceduto la guerra di Bush allâ??Iraq. Chi ha fermato la trattativa? E perché?
da L'UnitÃ
«Quella guerra poteva essere evitata. Dopo anni di embargo il leader libico Gheddafi si è ravveduto, e se vi dicessi che Saddam in Iraq era pronto a fare la stessa cosa»? Una frase importante quella lanciata venerdì dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace che certo non gli è scappata a caso.
Tanto più che il cardinale rivolto ai giornalisti ha aggiunto: «Traeteneve voi le conseguenze�». Con i se .. non si fa la storia e il cardinale Martino, con la sua grande esperienza di diplomatico della Santa Sede, non si avventurerebbe in supposizioni senza elementi precisi. Il porporato non vuole aggiungere altro. Facendo sue le parole di Giovanni Paolo II ha utilizzato ogni occasione per ribadire i pericoli di quel conflitto e ribadendo l'esigenza di rispettare il diritto internazionale e le prerogative delle Nazioni Unite. Ora il cardinale lascia intendere.
Ma una ricostruzione di quanto avvenuto nei giorni immediatamente precedenti l'attacco a Baghdad può aiutare a capire. Con una premessa, forse banale: quella guerra preventiva è stata costruita su falsità e bugie raccontate a popoli, a governi e allo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Saddam Hussein non aveva quelle terribili armi di distruzione di massa che secondo Bush e Blair era, invece, pronto ad usare e che avrebbero messo in pericolo la sicurezza di tutti.. Di quelle armi non si è trovato traccia. Né oggi, che nel paese occupato dalle forze alleate vi è un governo amico dell'amministrazione Bush, né all'inizio del 2003 quando il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan aveva inviato i suoi ispettori per scovare questi arsenali. Non a caso proprio Kofi Annan, nell'apertura dell'assemblea generale del Palazzo di Vetro ha definito illegale e illegittimo l'intervento contro l'Iraq.
Per capire il senso della «battuta» del cardinale Martino bisogna riandare ai primi mesi del 2003, quando la tensione internazionale era già altissima. Bush e Blair avevano già mobilitato le truppe, un ponte aereo e navale aveva già spostato decine di migliaia di uomini e mezzi nei paesi alleati del Medio Oriente. Erano già iniziati i bombardamenti su obiettivi militari iracheni. Giovanni Paolo II lanciava i suoi moniti ai potenti della terra affinché il dialogo e il negoziato prevalessero sulle armi e ogni azione avesse il pieno avallo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La diplomazia vaticana, attivissima, tesseva la sua rete di contatti, cercando di dare concretezza ad una soluzione politico-diplomatica che consentisse il disarmo del rais iracheno evitando il conflitto. Serviva tempo per il negoziato, ma Stati Uniti e Gran Bretagna non erano disposti a concederlo. Nel mese di febbraio tutti i rappresentanti dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu vengono ricevuti dal pontefice.
Intanto il capo degli ispettori dell'Onu, lo svedese Hans Blix continua la sua missione a Baghdad, riconosce una maggiore collaborazione da parte di Saddam Hussein, ma i depositi non si trovano. Nella sua relazione al Consiglio di sicurezza chiederà più tempo per completare il suo lavoro. Si dichiara fiducioso sull'esito della missione. La situazione pare comunque precipitare. Giovanni Paolo II gioca la sua carta: decide di inviare sui messaggeri personali da Saddam Hussein e da Bush.
Il 12 febbraio il cardinale Roger Etchegaray partirà per Baghdad con un lettera del Papa. L'invito al rais è perentorio: «Collabori pienamente con la comunità internazionale per eliminare ogni motivo di intervento armato». � l'estremo tentativo di evitare un conflitto pericolosissimo per l'intero Medio Oriente. Saddam pare cogliere l'occasione. Il cardinale Etchegaray torna da Baghdad ottimista, pare avere avuto qualche rassicurazione significativa per una trattativa vera. Lo conferma il vice di Saddam, Terek Aziz che proprio in quei giorni sarà a Roma. Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, suo amico personale, assicura che Aziz porterà «nuove proposte per scongiurare la guerra e la disponibilità a nuovi impegni». La richiesta è quella di dare più tempo agli ispettori delle Nazioni Unite per completare il loro lavoro. � il segno di disponibilità atteso dalla Santa Sede che Aziz confermerà direttamente al Papa. «Il Sig. Aziz ha voluto dare assicurazione circa la volontà del Governo iracheno di cooperare con la comunità internazionale, in particolare in materia di disarmo, mentre da parte della Santa Sede è stata ribadita la necessità di rispettare fedelmente, con impegni concreti, le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, garanti della legalità internazionale» affermerà il direttore della sala stampa vaticana Joaquin Navarro Valls dando notizia dell'incontro avvenuto in Vaticano.
La Santa Sede insiste su quel «rispettare fedelmente e con impegni concreti» e ottiene assicurazioni. Devono essere convincenti. Forse a queste garanzie allude il cardinale Martino. Sarebbe servito più tempo per le ispezioni Onu, ma questo Bush e Blair non lo hanno voluto concedere. L'intervento in Iraq era cosa decisa almeno già dal giugno 2002. Lo attestano i «piani segreti» per la guerra contro Saddam del Pentagono con tanto di presentazione del segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld, che ha pubblicato recentemente il quotidiano britannico Evening Standard.