di Curzio Maltese
Esce "Regime", libro di Gomez e Travaglio sullo stato della informazione durante il governo Berlusconi
da La Repubblica
Nella versione brechtiana della Turandot l´imperatore della Cina mantiene uno stuolo di servi intellettuali, i Tui, che hanno il compito di spiegare al popolo la bontà delle sue dispotiche leggi. I cortigiani sono zelanti ma troppe cose assurde accadono per escogitare ogni volta una spiegazione, così l´imperatore indice un concorso fra i Tui per trovare la risposta definitiva a tutti i dubbi del popolo. Vince questa: «La risposta giusta è non farsi la domanda».
Nell´Italia del piccolo Cesare di Arcore gli intellettuali hanno liquidato più o meno allo stesso modo il dibattito sul regime mediatico. Molti, in Italia e soprattutto all´estero, si sono chiesti se è ancora democrazia un sistema dove il capo del governo possiede o controlla il novanta per cento dell´informazione televisiva e la metà dei giornali. La risposta è stata che non bisognava porsi la domanda. Guai a parlare di regime, sia pure in forma dubitativa. S´incorre nelle ire dei nostri mandarini di corte, che a conti fatti sono la stragrande maggioranza degli intellettuali italiani, nei secoli fedeli al potere. D´altra parte dove sono i manganelli? Dov´è il confino? I manganelli però ci sono. Metaforici ma sempre dolorosi. Quanto al confino, vale la pena di leggersi il lungo elenco di epurati dal berlusconismo che compare in «Regime», l´ultimo libro di Peter Gomez e Marco Travaglio.
E´ un libro, un´inchiesta e forse meglio una requisitoria sulla censura ai tempi di Berlusconi. Non ci sono scoop ma una serie di casi noti e meno noti, un quadro generale terrificante che spiega la penosa classifica dell´Italia nelle classifiche internazionali della libertà d´informazione (cinquantatreesimo posto su 166), all´inseguimento di una mezza dozzina di paesi africani. Il capitolo più triste di «Regime» è forse quello dedicato a Enzo Biagi, il più amato e stimato giornalista della storia Rai, liquidato per aver osato intervistare ne Il Fatto due carneadi anti berlusconiani come Roberto Benigni e Indro Montanelli. Avvilisce il modo vile e ipocrita con cui la tv di Stato liquida con un tratto di penna quarant´anni di lavoro e di grande giornalismo. Angustia la miseria culturale e umana del plotone di esecuzione che prepara la censura a Biagi, con un sovrappiù di livorosa invidia. In prima fila c´è naturalmente Giuliano Ferrara, che si segnalerà anche nella caccia a Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, accusato di confezionare un «giornale canaglia», ovvero indipendente.
In tanto squallore, non mancano tuttavia le occasioni di puro divertimento. E´ esilarante il racconto della censura subita a Domenica In da Paolo Rossi, colpevole di aver tradotto un brano di Tucidide vecchio di duemilacinquecento anni ma considerato allusivo del conflitto d´interessi gravante sull´impresario al governo. Sono ritratti comici, più o meno volontariamente, anche quelli dedicati dagli autori all´eterno Bruno Vespa («Tre regimi e un maggiordomo»), alla leggendaria Anna La Rosa e all´incommensurabile Mensurati, conduttore di Radio Anch´io. Tre intervistatori da riporto che si vantano di essere lottizzati ed esibiscono con fierezza un servilismo elevato a metodo («Qui tutti i politici si trovano a loro agio»), scambiandolo per imparzialità. Come sono comici i mezzobusti chini del Tg1, il macchiettistico direttore Mimun, i consiglieri d´amministrazione Rai, fra i quali spicca per coraggio quel Marcello Veneziani che all´ultima puntata di Sciuscià aveva promesso rivoluzioni se avessero chiuso il programma di Santoro e poi si è precipitato sulla poltrona libera. Sono figurine da regimetto, più che figuri da regime. Si meritano il padrone che hanno e viceversa.
Non si può non concordare con le conclusioni di Beppe Grillo, censurato storico, nella post fazione: «I grandi personaggi, anche nel male, ti fanno i complimenti in pubblico e poi te lo mettono in quel posto in privato, a tempo debito. A freddo. Sono i mediocri, gli ometti che cadono nella trappola delle epurazioni, delle censure sfacciate e brutali, addirittura preannunciate dalla Bulgaria. Sono i poveracci, che si sentono deboli e insicuri. I Grandi Comunicatori che, alla terza volta che vanno in televisione, fanno scappare la gente perché non ne può più. Lasciamoli fare, si stanno auto eliminando da soli. Dopo bisognerà occuparsi delle scorie che avranno lasciato...».