di Simone Collini
da L'UnitÃ
ROMA «I politici non hanno ancora capito qual è il ruolo dellâ??informazione in un paese democratico». Lâ??avvocato Oreste Flamminii Minuto, unâ??autorità in materia, è critico nei confronti della proposta di legge sulla diffamazione a mezzo stampa.
Lâ??eliminazione del carcere è un passo avanti, però, non crede?
«Ovviamente, il carcere utilizzato per far tacere delle persone non è una pena che rientri in un sistema degno di essere chiamato democratico, quindi è assolutamente meglio avere una pena pecuniaria. Inoltre, se si pensa che la diffamazione a mezzo stampa, aggravata dallâ??attribuzione di un fatto determinato, è punibile in teoria con una pena fino a sei anni, vale a dire più di una rapina, sicuramente lâ??approvazione del nuovo testo sarebbe un passo avanti. Ma il problema non è soltanto sulla natura della pena. Il problema è se il sistema dellâ??informazione in Italia debba evolversi in un senso più adeguato alle libertà democratiche occidentali oppure debba rimanere una questione che rientra nellâ??ambito della repressione pura».
E il provvedimento in discussione alla Camera segna questa evoluzione?
«No, è un testo che lungi dallo scardinare certi principi di carattere generale e dal far rientrare lâ??informazione in un sistema di controlli incrociati tipico delle culture occidentali, non fa altro che aggravare la situazione».
Potrebbe spiegare il perché?
«Ad esempio, si continua a colpire, attraverso un meccanismo processuale perverso, lâ??ultimo anello della catena quando vengono pubblicate notizie coperte da segreto di Stato o di indagine. I segreti devono essere tutelati da chi ne ha la custodia formale, vale a dire il pubblico ufficiale. Se la notizia arriva alla stampa, la stampa non solo può, ma deve pubblicarla. Continua a non essere capito, soprattutto da parte dei politici, che compito dellâ??informazione non è tutelare i segreti, ma svelarli».
Lei parla però di situazione aggravata. A cosa si riferisce?
«Il testo prevede la sospensione dalla professione per i recidivi. Ã? assurdo mettere in mano al magistrato questo potere censorio, questo ruolo di ingerenza negli equilibri dellâ??informazione. Anche perché è invalsa una pessima abitudine per cui nei reati di diffamazione a mezzo stampa, quando lâ??articolo è senza firma perché è di elaborazione redazionale, il direttore non viene più imputato a titolo di omesso controllo, come avveniva fino a poco tempo fa. Ora si sta formando una giurisprudenza per cui lâ??articolo è riconducibile direttamente al direttore, il quale risponde quindi a titolo di diffamazione. Questo significa che se viene applicata la norma che prevede la sospensione, giudici monocratici, non collegiali, possono incidere sulle direzioni dei giornali: si possono eliminare dei direttori scomodi».