di Jader Jacobelli
Cari amici,
in questo momento la mia salute non è ??di qualità? e mi impedisce di partecipare al Convegno organizzato opportunamente dall??Associazione ??Articolo 21? in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione di Roma. Tanto più mi dispiace non essere presente in quanto il convegno si svolge ad Orvieto che è la mia città non d??anagrafe, ma di riferimento affettivo.
Ma la salute ancora non mi impedisce di esprimere per iscritto un??opinione sulla problematica della qualità televisiva, tanto problematica che il titolo del convegno è ??La ricerca della qualità?, tema di cui mi occupo da tempo come coordinatore della Consulta Qualità della RAI, organo ??sui generis?, più di studio che operativo, più esterno che interno.
Poichè in una lettera si deve essere sintetici condenso in cinque punti la mia opinione.
Il primo è che la qualità di una televisione, di qualunque televisione, sia pubblica che privata, è anzitutto quella di essere, per quanto riguarda l??informazione, pluralista e imparziale, due aggettivi che debbono però andare in tandem. Il pluralismo da solo non basta perchè cento faziosità non fanno una verità, e non possono soddisfare quel diritto all??informazione, oltre quello di informare, che la Costituzione sancisce.
Il secondo punto è che per qualità televisiva non possiamo intendere un particolare sistema di valori filosofici, estetici, etici, politici e psicologici, perchè su di essi non si raggiungerebbe mai quel consenso così largo da poter divenire normativo. Più pragmaticamente, specie per il servizio pubblico, dobbiamo ritenere di qualità ciò che corrisponde ai valori costituzionali, agli ??Indirizzi? della Commissione parlamentare di vigilanza, al ??Contratto di servizio?, alle delibere dell??Autority e alle Carte deontologiche professionali, riferimenti abbastanza oggettivi e quindi opportunamente monitorabili.
Il terzo punto è distinguere due accezioni di qualità: la cosiddetta ??qualità percepita?, percepita dai telespettatori, più correttamente detta ??gradimento?, che non si discosta molto dall??audience, e la ??qualità dovuta? dal Servizio pubblico. La qualità percepita rivela (qualche volta con un po?? di ipocrisia), lo stato della domanda; la qualità dovuta attiene invece all??offerta. Se all??emittenza commerciale può bastare il monitoraggio della prima perchè quando il telespettatore è soddisfatto e consuma, le entrate pubblicitarie sono assicurate, non può bastare, invece, al Servizio pubblico il cui compito non è quello semplice di soddisfare la domanda, ma di migliorarla con un??offerta sempre più rispondente alla propria ragion d??essere, che è concorrere alla crescita civica e culturale del paese.
Il quarto punto è che il monitoraggio della ??qualità dovuta? non è meccanicamente quantificabile come quello della ??qualità percepita?, ma lo si può effettuare in base a metodologìe cognitivistiche che fanno riferimento, genere per genere televisivo, a tutta una serie di parametri sulla base dei quali esprimere, non delle sentenze, ma dei ??pareri?. La Consulta Qualità della RAI, da me coordinata, si è data a questo fine una metodologìa, detta ??Index?, che consente appunto di esprimere ??pareri? riservati per il Consiglio di amministrazione e per la Direzione generale, sui singoli programmi e sul loro trend.
Il quinto e ultimo punto è l??esigenza che, a fianco dell??Auditel, che, pur senza volerlo, ha visto trasformare i suoi dati di fatto in giudizi di valore, come se le audiences fossero la prova del nove della qualità dei programmi relativi, si istituisca, possibilmente nel quadro dell??Autority, un organo, che può essere denominato Qualitel che, in piena autonomia dalle emittenti, esprima i propri autorevoli pareri nella speranza che siano più rispettati, in modo da rendere il pubblico più attento, più esigente, più critico.
Si intende che di questa mia lettera potete fare l??uso che ritenete. A me è bastato scriverla.