di Federico Orlando*
Cara Europa, sono strato nel pomeriggio (di ieri, ndr) a piazza Montecitorio, nella sala dell’Autorità della privacy, per l’iniziativa indetta dalla Cgil e da Articolo 21, insieme al presidente Oscar Luigi Scalfaro e al costituzionalista Alessandro Pace, per la libertà d’informazione in Italia. Siamo a meno di 20 giorni dalle elezioni europee, e lo sconcio della televisione (Rai e Mediaset) continua: tribune elettorali poche e marginali, partiti completamente oscurati o quasi (vedi i radicali e le forze non presenti nel parlamento nazionale ma che si candidano per quello di Strasburgo). Ma questo nostro paese ama davvero la libertà di stampa? Mi pongo la domanda soprattutto dopo il soliloquio – muti testimoni i giornalisti – del premier a Porta a Porta. Fabrizio Emanuel, Roma
Caro Emanuel, da vecchio giornalista, che ancor oggi considera l’informazione un “contropotere”, cioè un potere che “modera” gli altri controllandone gli eccessi e non secondandoli come succede nei regimi autoritari, debbo dirle che un grande amore per i giornali liberi non l’ho mai visto: la stampa è stata sempre considerata, forse anche per l’ideologia delle forze dominanti e per la scarsezza di editori “puri”, un lusso borghese,di minoranza. E di minoranza sono intelligenze elette (Scalfaro e Pace, che lei citava, il sindacalista Fammoni (Cgil) del comitato per la libera informazione, il portavoce di Articolo 21 Giulietti, i giornalisti-sindacalisti Natale, Siddi, Serventi Longhi, tutti presenti al convegno di ieri pomeriggio). Dove la cosa più rilevante a me è parsa l’annuncio di Giulietti che la sua associazione chiederà a tutti i nostri amici candidati alle elezioni europee (a cominciare da David Sassoli, penso) di sottoscrivere un impegno a chiedere una direttiva europea sul conflitto d’interessi in Italia, e a pretendere l’applicazione della risoluzione già presa nel marzo 2004 e rimasta chiusa nei cassetti. O l’Europa accende i riflettori per salvare la libertà di tutti noi, lettori e giornalisti, oppure avrà ragione Dell’Utri a dire che siccome la Rai “è di sinistra” (e si vede), “bisognerà occuparla”. Dev’essere rimasto l’unico a non sapere che è stata occupata da tempo.
Però, come giustamente lei chiede, il problema è se gli italiani e le classi dirigenti amino la libertà d’informazione. Di recente ho avuto modo di ricordare, a proposito del saggio Storia d’Italia dall’Unità a oggi, di Lepre e Petraccone (Il Mulino), la contrarietà dei tre partiti di massa, Dc, Pci e Psi, all’assoluta libertà di stampa, quando se ne parlò nel 1947 all’Assemblea costituente. L’articolo 21, così come oggi lo si può leggere e come cerchiamo di applicarlo, fu una faticosa e non pacifica conquista. Ricordano gli autori l’ostilità del socialista Schiavetti: la formula dell’art.21 gli sembrava non opportuna “in un a fase di sviluppo sociale e per lo scarso livello di educazione politica di una parte dei giornalisti italiani”. Il dc Andreotti si disse contrario al controllo sui finanziamenti ma chiese garanzie per la pubblica mortalità e la “tutela della gioventù” nei confronti di giornali cinema e radio. Aldo Moro chiese una repressione preventiva della “stampa pornografica”, nell’accezione molto estensiva che aveva allora questo termine. Un anno prima, il 16 maggio 1946, il guardasigilli Togliatti aveva presentato un decreto per il sequestro di “stampati osceni” e il ministro Scelba vi aveva aggiunto quelli che incitavano “a procurare l’aborto”. L’unica opposizione alla libertà vigilata venne dal liberale Girolamo Bellavista. Perciò – concludono Lepre e Petraccone – la conquista della piena libertà di stampa non si ebbe negli anni della Costituente, 1946 e 1947, ma nei decenni successivi, per la lotta che contrappose cattolici e comunisti: gli uni e gli altri, difendendo la propria, finirono col difendere la libertà di tutti”. Sono le cosiddette “astuzie della storia”, caro Emanuel. Speriamo che la storia abbia in serbo qualche altra “astuzia” per noi.
*da Europa