di Micromega
La proposta di ridurre a cento il numero dei parlamentari è stata avanzata sul numero 2/1986 della rivista MicroMega da Paolo Flores d’Arcais, nel quadro di una proposta di riforma che accentuava la divisione dei poteri, rafforzava l’autonomia dei parlamentari dalle segreterie di partito, stabiliva le primarie vincolanti, limitava a tre i mandati (di cui solo due consecutivi), introduceva l’incompatibilità fra cariche elettive e governative, insomma riduceva drasticamente il potere della “casta”. Esattamente l’opposto di quanto vuole fare Berlusconi.
Il paradosso è che l’opposizione, anziché prendere Berlusconi in parola, e formulare subito una legge per la monocamerale con cento deputati (e le primarie vincolanti, e tutti gli altri accorgimenti anti-casta), sta regalando al macro-partitocrate di Arcore anche la battaglia contro la partitocrazia. Siamo con ciò ad una impensabile sinergia di masochismo e demenza.
Ma vediamo la proposta di MicroMega, nel numero 2/1986, chiuso in tipografia il 16 maggio 1986.
“Una sola camera, formata da pochi deputati (un centinaio)” perchè “avrebbe maggiori difficoltà nel mantenere le proprie quotidiane attività in una sorta di cono d’ombra”, cioè consentirebbe agli elettori una maggiore possibilità di controllo, e di votare poi a ragion veduta.
“Un collegio unico nazionale”, perché “scoraggerebbe il deputato dalla presentazione di leggine a sfondo localistico” e altre forme di degenerazione della vita pubblica, da tutti stigmatizzate ma poi da tutte le forze politiche praticate.
“Trasformare il contributo pubblico ai partiti con erogazione gratuita di servizi (spazi sui mezzi di comunicazione, in primo luogo)” e stabilire per i contributi di privati il dovere dei partiti (e dei privati) “di pubblicare bilanci analitici esposti a controllo incrociato, con sanzioni adeguate (a effetto deterrente) in caso di mendacio anche marginale”.
Introdurre la possibilità del “voto plurimo anche a candidati di liste diverse”, cioè la possibilità di “personalizzare” il proprio voto, scomponendolo ad esempio in tre preferenze, poiché ciò “avrebbe l’effetto di ridimensionare il potere delle segreterie, favorendo candidature indipendenti e di frontiera”.
Per rispondere alla possibile accusa di trascurare la questione della stabilità dei governi, la proposta di MicroMega del 1986 proponeva la consultazione elettorale in due turni. “Nel primo si eleggono cinquanta deputati in modo rigorosamente proporzionale. Nel secondo, ogni coalizione presenta, oltre alla lista dei candidati, la lista del governo (premier compreso) e alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa (ma qualificata: ad esempio il 40%) vengono attribuiti i tre quarti dei rimanenti cinquanta seggi. All’interno della coalizione i seggi vengono ripartiti in proporzione ai voti di ciascuna lista al primo turno”.
Queste proposte venivano accompagnate dalla richiesta di “incompatibilità tra cariche elettive (o in Municipio o a Strasburgo, insomma), tra cariche elettive e funzioni ministeriali (tranne che per il premier), tra cariche elettive e cariche di nomina politica (nelle banche, nell’industria di Stato, nelle Usl, ecc.), da estendere nel tempo, di modo che non si diano lottizzazioni di “buonuscita”.
Il tutto nel quadro di una sempre più radicata autonomia della magistratura (che allora non sembrava in pericolo).
Nel corso degli anni successivi MicroMega, sempre con articoli del suo direttore Paolo Flores d’Arcais, avrebbe precisato ad arricchito la proposta, teorizzando un sistema che introduceva le primarie vincolanti (proposta considerata con interesse, fin nei suoi dettagli tecnici, anche da autorevoli “antipatizzanti” della rivista come Panebianco), e la trasformazione del Senato in una seconda camera non legislativa ma di controllo (di “difensori civici”), composta dai cinquanta sindaci delle maggiori città, e dagli altri cinquanta, a sorte e a rotazione annuale, tra tutti i sindaci di comuni con più di cinquemila abitanti.
Tutte proposte che di fronte all’uscita sfacciatamente demagogica di Berlusconi, una opposizione degna del nome (e non complice di una “solidarietà di casta”), rilancerebbe immediatamente, formulandola in un disegno di legge, per il quale già da domani chiederebbe a milioni di cittadini una firma di sostegno, organizzando gazebo in tutto il paese. Con il che Berlusconi sarebbe messo con le spalle al muro, e la sua spudorata demagogia si ritorcerebbe contro il suo regime. Proposta troppo semplice e di ovvia intelligenza, per sperare che il Pd voglia praticarla.