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Articolo 21 - Editoriali
Fiat-Opel. La sfida di Marchionne, le scelte di Obama, l'assenza di Berlusconi.
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di Gianni Rossi

E alla fine della “soap opera brasiliana” (la definizione è dell’amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne!), la fabbrica di auto tedesco-americana Opel (controllata dalla GM di Detroit) è stata ceduta alla cordata austriaco-canadese di componentistica Magna, sostenuta finanziariamente dalla russa Sberbank e da un prestito-ponte del governo di Berlino di 1,5 miliardi di euro.

La Fiat di Sergio Marchionne viene, almeno per ora, fatta fuori dal piano di risanamento.

A determinare questa scelta, in pieno periodo elettorale per i tedeschi, più che i progetti industriali e commerciali, hanno influito le pressioni del partito socialdemocratico (il cui ex-leader Schroeder, già cancelliere, ha avuto un ruolo determinante come consulente del premier russo Putin e del gruppo finanziario moscovita). Sconfitta, quindi, anche la cancelliere democristiana Angela Merkel, che era propensa ad un “salvataggio” più industriale guidato dalla Fiat. Ma la paura di una riduzione di posti di lavoro in 4 Lander, le regioni tedesche, dove era in bilico il voto per la CDU-CSU, ha spinto verso una decisione per altro sponsorizzata anche dal governo laburista inglese di Gordon Brown, visto che in Gran Bretagna operano alcune fabbriche della Vauxhall, affiliata della Opel.

Al gruppo austro-canadese andrà il 20% della Opel, alla Sberbank il 35%, alla Gm rimarrà il 35%, mentre i dipendenti controlleranno il 10%. La Sberbank, che in russo significa Cassa di risparmio, sarà quindi il principale azionista di riferimento europeo, visto che la GM, in piena crisi negli USA e in Sudamerica, in prospettiva tenderà a disfarsi della sua quota, magari rigirandola ad un altro partner (di nuovo la FIAT?). Di fatto, l’intervento russo si profila come l’ennesimo intervento di un “fondo sovrano” estero, ovvero di un investimento finanziato più o meno direttamente da una società riconducibile ad un governo nazionale. La Sberbank è , di fatti, la più grande banca della Russia, la sua sede è ha Mosca e il 64% della proprietà è in mano alla Banca Centrale della federazione russa, mentre il più importante azionista privato è il multimiliardario Suleiman Kerimov (uno degli uomini più ricchi del mondo e grande azionista anche di Gazprom).

Quale lezione si può trarre da questa vicenda in piena crisi economica mondiale?

Intanto, l’assenza pesante e, a questo punto, anche ambigua, del governo italiano del premier-imprenditore Silvio Berlusconi. Negli Stati Uniti, per risolvere la crisi delle tre grandi dell’auto, Ford, GM e Chrysler, si è mosso il presidente Barack Obama in prima persona che, confortato dal Congresso, ha avviato un piano di finanziamento e risanamento ciclopico, tanto da intervenire direttamente sull’accordo di salvataggio della Chrysler, guidato proprio dalla FIAT. Si è scelto in quel caso un partner industriale che aveva i requisiti tecnologici e di mercato più consoni per traghettare la casa automobilistica di Detroit fuori dal fallimento e porre le basi per un nuovo sistema di produzione, che tenga conto sia dei risparmi energetici (per combattere il forte inquinamento) sia di quelli economici (l’alto costo della benzina e delle stesse auto hanno fatto crollare il mercato statunitense). E poi per la FIAT si è aperto così un mercato vastissimo sia per le piccole auto utilitarie ( a partire dalla 500) sia per lo storico marchio Alfa Romeo, che gode da sempre di un forte appeal tra i consumatori americani.

L’operazione Chrysler è stata condotta in porto senza nessun sostegno discreto o formale da parte del governo italiano. Forse è stato anche un bene!

 

Ma il caso tedesco, dove il panorama economico-industriale deve sottostare a precise regole dettate dall’Unione Europea, implicava comunque l’intervento anche dei rispettivi governi. E qui si è notata l’assordante assenza dell’esecutivo berlusconiano, che solo a parole faceva il tifo per la FIAT, ma che nella realtà non ha mosso una paglia per sostenere lo sforzo di Marchionne.

Qualche autorevole osservatore estero dei mercati finanziari sospetta che dietro a questa “estrema prudenza” del governo italiano, ci sia anche l’amicizia tra Putin, Berlusconi e Schroeder,da una parte, e, dall’altra, “l’invidia” del nostro premier nei confronti del successo americano della FIAT, presieduta dal  più giovane Luca Cordero di Montezemolo, da sempre concorrente sia in ambito confindustriale sia in previsione di un suo futuro impegno politico. E poi, va aggiunto anche lo “sgarbo diplomatico” mostrato da Obama nei confronti di Berlusconi, tenuto all’oscuro di tutti i passi fondamentali della trattativa FIAT-Chrysler!

Sta di fatto che, né a livello dei rapporti tra i due esecutivi, tedesco e italiano, né a livello comunitario europeo, il nostro governo non ha “assistito” il tentativo della FIAT, né ha controllato che tutta l’operazione avvenisse nell’ambito delle strette regole comunitarie che vietano aiuti di stato “sotto mentite spoglie” a favore di un settore industriale che potrebbero distorcere le regole del mercato (il previsto prestito-ponte di 1,5 miliardi ei euro e una serie ammortizzatori speciali per non creare chiusure di alcune fabbriche e quindi operare migliaia di licenziamenti in Germania e in Gran Bretagna, ma lasciando invece in crisi altri siti, tra i quali quelli che si trovano in Belgio).

Altra lezione che si impara da questa vicenda è che, a livello internazionale, il governo italiano non conta nulla né viene preso in considerazione proprio sul lato più decisivo in questo momento di piena crisi economica. Pesa, infatti, l’assenza di qualsiasi strategia per creare le basi di un nuovo sviluppo, in grado anche di favorire occupazione, una volta superata l’emergenza recessione.

Obama ha indicato alcune strade per uscire dalla crisi e su queste sue tesi ha basato tutti gli sforzi finanziari dello stato americano. Gli europei arrancano, ma cercano di affrontare con aiuti di stato l’emergenza. L’Italia invece resta al palo!

 

Per uscire dalla crisi economica serve in realtà “l'ottimismo della conoscenza e della volontà”, non certo “l'ottimismo di regime”. A dirlo è stato l’economista Innocenzo Cipolletta, presidente delle Ferrovie dello Stato e dell'Università di Trento, già autorevole Direttore generale della

Confindustria. “Parlo dell'ottimismo di chi si applica a rimuovere le cause della crisi, a ricostruire le condizioni della ripresa, a rafforzare la rete sociale al fine di ridurre al minimo sofferenze e tensione - ha aggiunto - non certo di quello che ci vorrebbe obbligare a sorridere sempre, a negare l'evidenza, a credere che sia tutta colpa dell'informazione e che, meno si parla di crisi, questa forse passerà. Questo è l'ottimismo dell'ignoranza e della prevaricazione”.

E riguardo al ruolo dei media, Cipolletta ha chiarito che “l'informazione, anche quella urlata, anche quella che dà fastidio, è meglio che poca informazione”.

In queste settimane di clamore mediatico nazionale e mondiale sul caso del divorzio tra Berlusconi e la moglie Veronica Lario, con annessa la vicenda della giovane Noemi Letizia e le tante contraddittorie versioni sui tempi e i modi della sua conoscenza con il premier, si rischia dunque di nascondere al paese l’entità della crisi e l’assenza di un piano strategico per uscirne.

Il rigore delle cifre allarmanti, enunciate dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nella Relazione annuale circa lo stato di crisi del nostro paese ( il Pil a –5% nel 2009 e nel 2010, la disoccupazione che supererà il 10% in questi due anni) peserà sul futuro internazionale della credibilità del governo, anche in vista del Summit del G-8 che si svolgerà nel terremotato panorama de L’Aquila.

Accerchiato dai giudizi critici e sardonici della stampa e delle TV internazionali più autorevoli, che lo ritraggono come “un satrapo, in un paese in pieno declino, sullo sfondo di comportamenti alla Satyricon di Fellini”, emarginato dalle scelte fondamentali in politica economica dai governi più importanti del mondo (Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia), Berlusconi si rifugia nella sua torre eburnea costellata dagli amici più fidati, usando le armi della propaganda a lui più congeniali (attacchi alla magistratura, al Parlamento e alla stampa, richiami ai complotti di una sinistra internazionale tentacolare, riedizione del “vittimismo” personale). Sono armi spuntate, però, che forse gli faranno stabilizzare qualche voto alle Europee, ma che isoleranno ancora di più l’Italia dal novero dei paesi più industrializzati, liberi e democratici.

 

Il “caso Opel-FIAT”  suona così come un “de profundis” per gli assetti della nostra politica e il futuro del governo, mentre per le scelte industriali di Marchionne risulterà come uno “stop and go”, una sosta momentanea sul cammino del progetto di ristrutturazione del mercato dell’auto che, molto probabilmente, ripartirà con la “campagna di Francia”, dove si potrebbe realizzare una convergenza con la Peugeot-Citroen, già partner della FIAT nella componentistica, e poi con l’acquisizione della rete produttiva e commerciale della GM in Brasile e in altri paesi dell’America Latina.

Per Berlusconi “ha dà passà ‘a nuttata” delle elezioni europee, del Referendum, della “sciarada-Noemi” e, soprattutto, di un’estate bollente che porterà tutti i nodi al pettine della recessione economica: lunghe ferie nelle imprese per mascherare il crollo della produzione, nuovo boom della cassa integrazione e della disoccupazione, stagnazione dei consumi, abbattimento delle entrate fiscali, innalzamento della pressione fiscale e ulteriore riduzione del potere di acquisto dei già bassi salari. Si prospetta un autunno gelido, da incubo, per “l’incantatore di Arcore”, ormai aggrappato al suo immenso potere mediatico per inondare di sogni  di cartapesta un paese sempre più allo stremo.   

E gli italiani, sempre più poveri e sempre più compatiti dall’opinione pubblica mondiale, resteranno ad aspettare che qualche “cavaliere bianco” li aiuti ad uscire dal tunnel in cui sono precipitati?

Nella breve storia di questa nostra giovane nazione, per due volte nel “Secolo breve” che fu il Novecento gli “alleati” anglo-franco-americani ci hanno tratti in salvo dai disastri di due guerre mondiali. Questa volta, però, non siamo in guerra con nessuno, ma siamo intrappolati in una palude zeppa di sabbie mobili, che sta facendo strage dell’etica, della convivenza civile, dei fondamentali economici e sociali e dei principi della Costituzione repubblicana. Questa volta, gli italiani sono chiamati a cavarsela con le proprie forze, altrimenti il declino si trasformerà in tragedia!

 

 

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