di Gaetano Alessi
Esiste una categoria di lavoratori in Italia, che pur essendo destinata a rappresentare il fulcro delle professioni tra meno di due lustri, sembra non esistere per nessuno. Una vasta schiera, con nomi più o meno riconoscibili: precari, free lance, a “progetto”, Co.Co.Pro o contrattualizzati con le riforme degli ultimi anni (per citarne alcuni) a cui spetta un triste destino.
Esser tacciati come “privilegiati” dai disoccupati, ma trattati come professionisti di serie B da chi, solo per aver avuto la fortuna di trovarsi prima nel mondo del lavoro, a pari mansioni ha diritti più stabili. Basta un radar acceso sul territorio per capire, usando un eufemismo, le “difficoltà” che si registrano nel nostro paese.Dai giornalisti, ai lavoratori del commercio, dagli artigiani, alla grande industria (che per la prima volta in Emilia Romagna auspica un accordo con la Cgil per uscire dal pantano della crisi economica). In tutte le varie sfaccettature produttive e culturali, lavoratori sono messi contro lavoratori, in una guerra tra poveri che alimenta solo un sentimento di rabbia e abbandono. Garantiti contro non garantiti, accordi separati, enti bilaterali, contratti integrativi, formule talmente aliene a chi cerca (o trova) con difficoltà un posto da rendere il Sindacato una cosa lontana, quasi d’antan.
Finiti i tempi delle Camere del Lavoro come argine ai “padroni”, Cgil Cigl e Uil nell’immaginario delle nuove generazioni diventano unicamente “quelli” del concerto del I° maggio. Talmente fuori tempo dal non uscire da steccati ideologici vecchi di trent’anni, silenti di fronte alla polverizzazione della società, anche a causa di un latente senso di colpa per non essere intervenuti quando dovevano. Un sindacato che non tiene la bussola, che non vive di spinte in avanti, d’atti di coraggio, che non affronta più di petto la violenza dei “padroni”, una volta fisica, oggi psicologica, dimenticando una lezione fondamentale: che un diritto resta tale se è universale, altrimenti diventa un privilegio, anche se è stato conquistato con le lotte.In un Italia dove il dramma del lavoro non è raccontato, dove vi sono “Ordini”, come quello dei giornalisti, che difendono i professionisti ma lasciano nelle mani, spesso poco amichevoli, di politica e malaffare i free lance, s’aspetta l’implosione di settembre quando gli ammortizzatori sociali stanziati dal Governo finiranno lasciando lavoratori di diversi settori in un limbo senza prospettiva.
Cosa farà lì il sindacato italiano?
Concerterà i diritti al ribasso? Garantirà chi è già garantito? O riscoprirà la tradizione dei Di Vittorio? Quel che è certo è che i lavoratori senza nome continueranno ad aumentare e con loro la disperazione, l’insicurezza, l’illegalità e i morti. Ma la cosa peggiore è che perseguire questa strada equivale ad una bomboletta spray che cancella da ogni vocabolario la parola “speranza” e con essa buona parte del futuro e della solidarietà del nostro paese.