di Nando dalla Chiesa
da Avvenimenti
Ed eccoli qua. Eccoli che tornano. Undici, dodici anni fa ci avrebbero scommesso in pochi. Invece ci sono tutti. Già applauditi sul palcoscenico di gala della politica nazionale o allineati in fervida attesa dietro le quinte. Vi sembra incredibile? Ma no, pensateci. Sono tornati i fascisti in un paese che il fascismo trionfante portò al macello della guerra. Sono tornati i comunisti nei paesi che il comunismo ha tenuto sotto una cappa plumbea per decenni. E volete che non tornassero loro, quelli della politica che ha i suoi costi, quelli che guai a parlare di etica viviamo in uno Stato laico, quelli che i giudici facciano il loro mestiere e non si impiccino delle cose della pubblica amministrazione, ché quella compete agli eletti dal popolo? A voi. Sono tornati. Qualcuno con nome e cognome. Altri con il loro lascito morale, con gli eredi lasciati a questo Paese in perenne affanno di idee e di princìpi.
Leggere i giornali, please. Si moltiplicano i casi di scandalo istituzionale. E, correlativamente, si moltiplicano i casi di intervento della magistratura sulle vicende politiche, allâ??interno delle quali in tanti pensavano di avere, in questi anni, ricostruito una grande zona franca dal diritto. A Milano, a Palermo, in Basilicata. Quasi ovunque. Indagini, indagini, rinvii a giudizio. Ex presidenti di provincia, presidenti di regione in carica, assessori. Chiacchierati dallâ??opinione pubblica - si noti - ben prima che investigati dai pubblici ministeri. Ã? un florilegio di posizioni. Basta leggere lâ??esordio di un pezzo del primo quotidiano dâ??Italia lo scorso 23 novembre: «Gianfranco Blasi, unico deputato di Forza Italia della Basilicata, responsabile di Forza Italia per il Mezzogiorno? Per lui è stata chiesta alla Camera lâ??autorizzazione allâ??arresto. Antonio Luongo, deputato dei Ds eletto qui? Indagato. Antonio Potenza, deputato del gruppo misto Ap-Udeur? Indagato. Filippo Bubbico, presidente della Regione (Ds), indagato. Vito De Filippo, presidente del consiglio regionale (Margherita), indagato». Eccetera. Eccetera. Per raccontare non la fine del mondo ma la semplice operazione â??Iena 2â? condotta a Potenza su appalti pubblici, assunzioni, voti di scambio. Al centro di tutto, Renato Martorano, già condannato per associazione mafiosa, considerato il capo della criminalità organizzata lucana e trattato come un caro amico («Ciao Renà , ciao bello, ciao») dal presidente della Camera penale di Potenza, lâ??avvocato Piervito Bardi, arrestato.
Chiaro: finché non ci sarà sentenza definitiva nessuno è colpevole penalmente. Ma il quadro dei rapporti scontornati dallâ??operazione è inquietante lo stesso. Tra lâ??altro, nel caso in questione, di fronte alle prove esibite dai magistrati, il responsabile di Forza Italia per il Mezzogiorno ammette â??onestamenteâ? di avere frequentato il boss. Anche se spiega di averlo fatto per ragioni di «carità cristiana», per riportarlo «sulla retta via». Diciamolo, perché vedo troppa timidezza in giro: non se ne può più di questa politica incapace di guarire, di portare con sé nella sua azione quotidiana il senso più elementare delle istituzioni. E soprattutto diciamo unâ??altra cosa: che non è tanto il peccatore a destare scandalo (nessuna società è perfetta), ma la sua diffusa e condivisa pretesa di essere nel giusto; la sua diffusa e condivisa pretesa che nessuno, e tanto meno alcun rappresentante delle leggi dello Stato, si impicci di quel che fa. Ã? la commedia del peccatore che si arroga il titolo di perseguitato e indica il peccatore vero in chi (magistrato, giornalista, politico, sindacalista) osi stigmatizzare il suo operato: è questo il cancro della democrazia italiana.
Câ??è stato un intero clima politico dopo la stagione di Tangentopoli che ha scientificamente cooperato in questa direzione. Dove â??scientificamenteâ? non sta per â??razionalmenteâ?. Perché in realtà è stata una cooperazione di pancia, di istinti, di richiami della foresta. Che si è mossa sempre in una direzione. A volte prendendo spunto enfaticamente da avventatezze o scorrettezze giudiziarie; o da eccessi forcaioli della pubblica opinione; più spesso da una atavica pretesa di impunità . Che ha visto incontrarsi destra e sinistra, sia pure con retroterra materiali e morali non coincidenti (ma sovrapposti quanto bastava...). Un indizio piccolo piccolo della inquietante convergenza? Eccolo. Nessuno è ancora riuscito a spiegare perché nella scorsa legislatura, conflittuale quantâ??altre mai, su una sola materia si sia sempre votato pressoché allâ??unanimità : sulla giustizia. E perché una commissione parlamentare sia stata praticamente azzoppata: quella contro la corruzione, che di proposte per bonificare lâ??ambiente politico e amministrativo ne aveva fatte molte e pure interessanti. Purtroppo anche potenzialmente incisive sui comportamenti e sulle prassi della politica.
Ora con questa informazione di regime, con un governo scatenato contro i magistrati e contro i rigori della legge (salvo chiedere durezza e manette facili quando scoppia il bubbone napoletano), il clima è diventato lâ??opposto di dieci-dodici anni fa. Il governatore Cuffaro non sente nemmeno il dovere di dimettersi (e nessuno glielo chiede) per un rinvio a giudizio per favoreggiamento di Cosa Nostra, in un contesto investigativo solido e per nulla â??sociologicoâ?. La Sicilia insanguinata dalla mafia ha un governatore che con la mafia coltiva buoni rapporti. Ma alla politica che celebra anniversari e intitola francobolli alle vittime questo sembra normale. E sembra, viceversa, giustizialista e moralista chiedere decoro e credibilità per le istituzioni.
Sono gli anni del rovesciamento di senso. Per questo possono tornare fuori i reperti della Prima Repubblica ancora accovacciati nei loro ricordi, ancora sistemati nelle loro nicchie museali. Reperti dei quali, volendo, si possono anche comprendere i ragionamenti. Vedono tanti loro ex colleghi impazzare, beneficati dalla lotteria delle riabilitazioni, vedono perfino il condannato con sentenza definitiva Gianstefano Frigerio presentato sotto falso nome agli elettori, portato dalla Lombardia alla Puglia nella proporzionale, e si interrogano sul perché loro, proprio loro, debbano stare fuori.
La cosa grave è che la politica che ha promesso il nuovo li vada a ripescare. Li ascolti. Li reputi meritevoli di ogni onore. Li rilanci. Li riproponga. Incurante delle storie, storie anche dignitose, storie anche sofferte, che essa ospita e che dovrebbe rispettare. Storie che si vedono piombare addosso, fino a rischiarne la contaminazione agli occhi dei cittadini, ombre e vicende che fanno parte di una politica totalmente altra. Enrico Manca, Giusy La Ganga, Salvo Andò e chissà quanti altri ancora per la Margherita che doveva essere non «un nuovo partito» ma «un partito nuovo»? Ã? quando raggiunge questi vertici di spregiudicatezza che la politica perde il diritto di chiedere militanza pulita e sacrifici personali. Ã? quando raggiunge questi vertici di miopia che essa perde il diritto di vivere a lungo. Come lo perse la prima Repubblica, franata, con i partiti che la impersonavano, sotto i colpi degli elettori - non lo si dimentichi mai - ben prima che sotto i colpi dei giudici. Ma, evidentemente, le lezioni della storia non bastano mai. Non è solo questione di morale. Ã? anche questione di intelligenza. E a far politica senza lâ??una e senza lâ??altra si finisce nei musei tutti insieme. Con i morti che afferrano per i piedi i vivi. Che i vivi reagiscano, prima che sia troppo tardi.