di Giovanni Bianconi
dal Corriere
MILANO - Lâ??atto finale è scritto in venti righe, precedute dallâ??intestazione della Repubblica italiana e i numeri del procedimento penale. In calce la firma del presidente del tribunale, Francesco Castellano. Due pagine che sanciscono lâ??«intervenuta prescrizione» di un reato imputato a Silvio Berlusconi, e unâ??assoluzione ora piena, ora perché «la prova manca, è insufficiente o è contraddittoria» per altre vicende. Soluzione complessa per una storia complessa, cominciata quasi dieci anni fa, difficile da classificare con la nettezza dei giudizi politici. Così, davanti a un tribunale che dichiara il «non doversi procedere» contro lâ??imputato capo del governo perché troppo tempo è passato dai fatti contestati, le rituali dichiarazioni sulle persecuzioni giudiziarie o i complotti orditi dai magistrati appaiono poco o per nulla aderenti alla realtà . Perchè i 500 milioni di lire, passati nel 1991 da un conto corrente della Fininvest a uno del giudice Squillante attraverso un altro di Cesare Previti, sono stati considerati un atto di corruzione. Dunque câ??era lâ??arrosto nelle carte dellâ??accusa, non solo il fumo. E sulla presunta corruzione per la compravendita della Sme è stato confermato il verdetto di assoluzione perché «il fatto non sussiste», come aveva detto un altro tribunale, ma ancora con la formula della prova mancante, contraddittoria o insufficiente.
Soluzione complessa, dunque, che segna la fine di una stagione. La testimone Stefania Ariosto cominciò a parlare di giudici pagati per conto del fondatore della Fininvest a metà del 1995, ma la contrapposizione tra Silvio Berlusconi e la Procura di Milano si può datare allâ??anno precedente, novembre 1994, con lâ??invio del famoso avviso di garanzia durante la conferenza internazionale di Napoli. Per altri fatti di presunta corruzione, finiti anchâ??essi nel labirinto delle più diverse sentenze: condanna in primo grado, prescrizione in appello, assoluzione piena in Cassazione. Pure allora lâ??indagato era presidente del Consiglio; non câ??era invece, nel Palazzo di giustizia milanese, il pubblico ministero Ilda Boccassini. Eâ?? con il suo ritorno dalla Sicilia, dove aveva indagato sulla strage di Capaci e smascherato gli assassini di Giovanni Falcone, che prendono il via le indagini sulla compravendita di toghe e sentenze al Tribunale di Roma. Che vedono spuntare ancora una volta il nome dellâ??«imprenditore milanese Silvio Berlusconi». Indagini che, scaturite dalle iniziali dichiarazioni della Ariosto, si ancorano ben presto a versamenti di denaro verificati da contabili bancarie e conti correnti: quelli che hanno retto fino alla sentenza di ieri.
Da quel momento cominciano i duelli non solo tecnico-giuridici, ma anche politico-parlamentari tra accusa e difese. Dalla richiesta di arresto per lâ??onorevole Cesare Previti, respinta dalla Camera dove câ??era una maggioranza di centro-sinistra, ai tempi lunghissimi dellâ??udienza preliminare per via degli impegni degli onorevoli imputati o avvocati, alle prime leggi corrette per non incidere su questo procedimento, come quella sull'incompatibilità tra gip e gup. Poi, con la nuova legislatura e il processo già cominciato, sâ??è aperto il capitolo delle richieste dei difensori respinte nellâ??aula di tribunale e riproposte sotto forma di nuove norme nelle aule parlamentari, a maggioranza di centro-destra. A partire dalle rogatorie con la Svizzera: si è messa in pericolo lâ??approvazione di un intero trattato di collaborazione con la Federazione Elvetica nel tentativo di far dichiarare nulle le carte arrivate da Oltralpe che testimoniavano i movimenti bancari. Solo lâ??interpretazione della riforma da parte dei giudici, confermata dalle Alte Corti, ha evitato la cancellazione per legge delle prove raccolte.
Dopo è toccato al «legittimo sospetto» sui giudici, riscritto dal Parlamento allâ??indomani del ricorso degli avvocati che volevano portar via il processo da Milano. Riforma invocata per tutti, si disse, non solo per Berlusconi e i suoi coimputati, che però non è bastata a spostare i dibattimenti, e non è stata più applicata a nessun altro ricorso: segno che forse non era una norma così impellente per i codici e le garanzie degli inquisiti. Ma intanto il tempo passava. Finché non si è arrivati allo stralcio della posizione del presidente del Consiglio rispetto a quella degli altri accusati. Prima per via degli impegni dellâ??imputato-premier che provocavano continui rinvii delle udienze e, poi, il cosiddetto Lodo Schifani.
La legge che interrompeva i procedimenti contro le cinque più alte cariche dello Stato è stata bocciata dalla Corte costituzionale. Ma nel periodo in cui è rimasta in vigore è servita a sottrarre definitivamente Berlusconi ai giudici del collegio che un anno fa ha condannato Previti e gli altri imputati per gli stessi fatti (e li ha contemporaneamente assolti per la vicenda Sme) senza concedere loro le attenuanti che invece, accordate al premier da magistrati diversi, ieri hanno fatto scattare la prescrizione.
Eâ?? per via di questa concatenazione di fatti e della conseguente corsa a ostacoli che la storia del processo più importante nella cosiddetta Seconda Repubblica è durata un decennio. Lasciando dietro di sé conseguenze che non si fermano alla vicenda giudiziaria del capo del governo. Per esempio la riforma dellâ??ordinamento giudiziario, appena approvata dopo un cammino lungo e accidentato andato di pari passo con i dibattimenti milanesi, che ora attende il vaglio per la firma del presidente della Repubblica. Il testo partorito dal Parlamento, e prima ancora la sua gestazione, ha provocato una netta contrapposizione con la magistratura, mai così unita come nel giudizio negativo su una legge considerata una sorta di rivalsa dellâ??attuale maggioranza politica su giudici e pubblici ministeri.