di Giampiero Rossi
«La Resistenza? Basta, per favore, avete stufato con la retorica, "partigiana" in ogni senso. Sono cose vecchie, che ce ne importa di discutere, di dividerci, di esaltarci ancora per fatti di 65 anni fa? E i deportati? E i fucilati? Ma sì, certo, dai, ti pare che non ci dispiaccia per quei morti lì? Però, insomma, adesso... E poi di morti ce ne sono stati ancora tanti, scusa: pensa a quanti ne muoiono ogni giorno di fame in Africa! E poi: anche gli operai che si appendono su una gru perché gli chiudono la fabbrica? Ma ancora siamo fermi lì? A questi rituali, a queste sceneggiate vecchie e logore? Possibile che, nel 2009, non siamo capaci di ragionare seriamente di economia? Per 49 persone tutto 'sto casino, con polizia e carabinieri e vigili urbani notte e giorno a sorvegliare un pezzo di periferia? Ma con quei soldi lì, allora, si potevano sistemare tutti e 49 quelli che protestano e siamo tutti contenti, no? E poi: se a quell'imprenditore non gli tornano i conti ha tutto il diritto di chiudere e vendere baracca e burattini. Siamo in democrazia, no? Gli rende di più la speculazione immobiliare? E allora? È forse proibita? Che poi, anche voi, siete speciali a trovare le etichette: speculazione... sempre parole negative, che criminalizzano chi muove un po' di economia. E non venite adesso a farmi tutta la menata anche sull'Unità d'Italia e sulla ricorrenza dei 150 anni. Ma possibile che non siamo capaci di guardare avanti, una buona volta? Con tutti i problemi che ci sono? Parliamo, piuttosto, dei giovani che fanno fatica a trovare un lavoro, ché ci ho mio figlio - che è bravissimo - ma non riesce ad avere un posto fisso e ho dovuto aiutarlo io, perché altrimenti non riusciva neanche a prendere casa per sposarsi. Invece tutti a compatire quelli della Innse...».
Un piccolo saggio di "modernità". O no? O forse il nostro interlocutore immaginario (ma tremendamente reale) non ci ha convinti perché, in fin dei conti, ci chiede di buttare via tutto per sostituirlo con niente? Proviamo a ribaltare l'angolazione.
Lunedì sera, 10 agosto, a Milano spirava una brezza che rendeva gradevole la notte dei reduci metropolitani. Ma le circa duecento persone (la questura non si è neanche scomodata a fornire una cifra diversa) che si sono trovate in piazzale Loreto sarebbero state lì anche con l'afa che li ha bolliti in quasi tutti i 10 agosto degli ultimi 65 anni. Erano lì per "commemorare" (verbo dal suono antico, quindi vecchio) i martiri della strage nazifascista del 1944. Roba “vecchia”, insomma. Certo, era vecchio anche quel signore che si aggirava con il suo foulard a righine bianche e azzurre con scritto "Dachau". Erano vecchi i gonfaloni, le bandiere, le medaglie portate in piazza da vigili urbani, anziani partigiani e più giovani seguaci di questa ostinata genìa di commemoratori. Non erano vecchi, però, né il nipote di uno dei trucidati di piazzale Loreto (che ha raccolto il testimone della memoria tenuto da sua nonna prima e da sua madre poi), né l'operaio della Insse - uno dei 49 ostinati che si oppongono allo smantellamento di una fabbrica ancora capace di produrre ad alti livelli - che ha ricordato, tra l'altro, che nello stabilimento che stanno difendendo da mesi c'è una lapide che ricorda dodici operai che da lì furono deportati in Germania.
Domande in ordine sparso. Chi ha ragione? O meglio chi ha ragioni (plurale)? I modernizzatori della civiltà, quelli che non vogliono avere più niente e nessuno da ricordare (figuriamoci da “commemorare”, orrore...), o coloro che al 10 di agosto tornano in piazzale Loreto, magari con figli e nipoti? Cos'hanno da offrirci, da proporci gli uni e gli altri? E quelli della Innse hanno qualcosa in più da suggerirci, ci comunicano qualcosa in più di coloro che si incazzano se solo sentono parlare di sciopero? Infine, l'attuale proprietà della Insse cosa pensa di fare con la lapide ai deportati: la vende a parte o forfettizza con il prezzo di fabbrica e operai?
Buon Ferragosto 2009, Italia.