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Articolo 21 - Editoriali
Una vergogna democratica
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di Giovanni Valentini*

L'informazione come questione nazionale, di interesse pubblico, collettivo. Non solo perché riguarda tutti i cittadini, di destra e di sinistra, quelli che seguono la televisione o non la seguono, quelli che leggono i giornali o non li leggono. Ma ancor più perché tocca direttamente la vita democratica, il pluralismo e la libera concorrenza, il confronto politico e la regolarità delle competizioni elettorali. Firmato, Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica.

Con la sensibilità e l´attenzione che ha già ampiamente dimostrato nei confronti di una tale questione, prima inviando un messaggio alle Camere nel luglio 2003 e poi respingendo al Parlamento la legge Gasparri sulla tv, il capo dello Stato non ha perso l´occasione della consegna dei Premi San Vincent di giornalismo per rivolgere ieri un nuovo monito al sistema italiano dei media e in particolare alla Rai. «La televisione pubblica, qualunque sia il suo assetto aziendale, deve fare servizio pubblico», ha avvertito il presidente Ciampi. E per quanto abbia evitato ogni riferimento polemico, appare chiaro il richiamo alla situazione di illegittimità che grava in questo momento sull´azienda di Stato.
Non è caduto nel vuoto, dunque, l´appello che Piero Fassino aveva lanciato nei giorni scorsi dalla tribuna della Consulta nazionale Ds sul sistema radiotelevisivo, chiedendo ai «vertici istituzionali» di ripristinare la legalità al vertice della Rai. Sono passati infatti più di sei mesi dalle dimissioni del "presidente di garanzia" Lucia Annunziata e i quattro consiglieri superstiti, espressi tutti dal centrodestra, restano ancora al loro posto come se nulla fosse. E contro questa «vergogna democratica» ? come l´ha definita lo stesso presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Claudio Petruccioli ? nulla dicono e nulla fanno i presidenti delle Camere che li hanno nominati.
Più che un "monocolore", il governo attuale della Rai è diventato ormai incolore, nel senso che non rappresenta più legittimamente nessun colore politico, nessuna area o estrazione culturale. In forza della vecchia legge "provvisoria" del ´93, applicata per la prima volta da due galantuomini come Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano, l´uno per la maggioranza e l´altro per l´opposizione, questo Consiglio di amministrazione era stato insediato come un "unicum" giuridico, un soggetto unico, secondo l´improbabile formula del "4 + 1". E per di più, in attesa che il Parlamento approvasse la riforma televisiva.
Caduto il "presidente di garanzia" sulla controversa vicenda delle nomine interne; annunciate pubblicamente e poi rinviate a dopo le elezioni europee le dimissioni di un consigliere cattolico, il professor Giorgio Rumi; ratificata l´infausta legge Gasparri; avviata infine la falsa privatizzazione della Rai, ecco che l´ente radiotelevisivo di Stato, la più grande azienda culturale del Paese e anche la più istituzionale fonte d´informazione, si ritrova praticamente allo sbando, nelle mani di una direzione generale monocratica che l´amministra come se fosse (con tutto il rispetto) la Fiera di Milano, in rappresentanza di un governo che già controlla le tre reti Mediaset. Oltre che una vergogna, è uno scandalo che va in onda quotidianamente, un insulto, un´offesa ai cittadini che pagano il canone.
Nel riferimento del capo dello Stato alle "indicazioni dell´Unione europea", c´è anche la rivendicazione di un ruolo e di una funzione insostituibili del servizio pubblico in un sistema dell´informazione complesso e articolato. Tanto più valida, a nostro avviso, nell´Italia berlusconiana. Dal monopolio di Stato, non si può passare al monopolio privato e neppure a un duopolio che detiene il 95 per cento del mercato televisivo, drenando risorse a scapito di tutti i competitors e in particolare della stampa, omologando l´informazione e l´intrattenimento. In questo modo si soffoca il pluralismo, si danneggia la libera concorrenza, si vìola una condizione fondamentale della democrazia.
Spiace dire che, in un passaggio così delicato, l´Autorità sulle Comunicazioni si sta comportando ancora una volta come uno strumento di mediazione piuttosto che come un organo di garanzia. Invece di definire uno schema di bilancio in base a cui la Rai deve distinguere i ricavi da canone e quelli da pubblicità, secondo le norme della stessa legge Gasparri, l´Authority intrattiene riunioni congiunte con i rappresentanti del soggetto sottoposto al suo controllo, come hanno denunciato recentemente i senatori della Margherita, Luigi Zanda e Giuseppe Scalera. E almeno per il momento, non sembra prendere neppure in considerazione l´ipotesi della separazione societaria, proposta opportunamente dall´Antitrust.
Nel discorso di Ciampi sullo stato dell´informazione italiana, non manca infine qualche richiamo anche ai giornali, a quello che il presidente definisce "l´eccesso di attenzione per i contrasti spesso effimeri della scena politica interna" oppure a un certo "provincialismo" che tende a sottovalutare ciò che accade "in Europa e fuori dall´Europa". Unicuique suum, come dicevano i latini, a ognuno il suo. Ma qui, davanti all´edicola, i lettori possono scegliere liberamente ogni giorno che cosa comprare e che cosa leggere. Davanti alla televisione di regime, invece, possono decidere al massimo di spegnerla.

da "Repubblica" - 14 dicembre 2004

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