di redazione
Ieri, mercoledì 23 settembre, il Presidente di turno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il libico Ali Abdussalam Treki, ha aperto la 64esima sessione assembleare ONU con una conferenza stampa. Nel corso di essa, alle domande di alcuni giornalisti relativamente alla sua posizione sulla dichiarazione per la decriminalizzazione universale dell'omosessualità depositata il 19 dicembre 2008, ha affermato: “E’ un problema molto delicato. Da musulmano, non sono d’accordo. Penso che non sia accettabile, non lo è per la maggior parte del mondo e non lo è assolutamente per la nostra tradizione, la nostra religione”.
“Ciò che ha dichiarato Ali Abdussalam Treki è gravissimo e non deve ammettere scusanti: il Presidente dell’Assemblea Generale ONU, così come ogni Membro, ha il dovere di rappresentare in ogni sede i principi e i fini delle Nazioni Unite, secondo lo Statuto adottato il 26 giugno 1945 a San Francisco, nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti (art. 1)”. Lo affermano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, Co-Presidenti dell’organizzazione internazionale per i diritti umani Gruppo EveryOne. “Con tali dichiarazioni,” proseguono gli attivisti, “il presidente dell’Assemblea Generale ha di fatto legittimato la violenza, il carcere, la tortura e la pena di morte per migliaia di persone omosessuali nel mondo, dichiarando di fatto ‘inaccettabile’ la moratoria che prevede la depenalizzazione universale dell’omosessualità (e così dei rapporti omosessuali e della sodomia). Chiediamo al Segretario Generale e al Consiglio di Sicurezza, che hanno il dovere di risolvere controversie interne all’Assemblea Generale su tematiche che riguardino i principi delle Nazioni Unite” continuano Malini, Pegoraro e Picciau, “di rimuovere immediatamente Abdussalam Treki dall’incarico di Presidente di Turno per la sua non conformità ai fini e ai principi ONU, se necessario riconvocando in sessione speciale l’Assemblea Generale”.
Il Gruppo EveryOne fa inoltre appello alle associazioni e organizzazioni LGBT, alla Commissione Ue, al Parlamento europeo e ai Governi dei Paesi democratici, in primis Francia e Olanda – che il 19 dicembre scorso illustrarono la suddetta moratoria –, affinché stigmatizzino pesantemente le dichiarazioni del Presidente di turno dell’Assemblea Generale ONU e ne chiedano l’immediata sostituzione.