di Livio Pepino*
Basta leggere un qualunque testo di diritto costituzionale e guardare la storia istituzionale del nostro Paese. Il Presidente della Repubblica che non condivide una legge approvata dal Parlamento è, comunque, tenuto a promulgarla e non può, per questa sola ragione, rinviarla alle Camere: la facoltà di rinvio ha come presupposto non il semplice dissenso, ma una violazione della Costituzione o un provvedimento in contrasto con regole fondamentali del sistema. Essa è, in altri termini, un intervento limite, non a caso utilizzato con estrema cautela dal presidente della Repubblica in carica e dai suoi predecessori. La restituzione al mittente della controriforma dellâ??ordinamento giudiziario è dunque, di per sé, un evento eccezionale. Ma câ??è di più. Con essa, infatti, il presidente della Repubblica non si è limitato a chiedere il riesame di un aspetto specifico e circoscritto della legge ma ne ha censurato gli elementi più innovativi (o meglio, eversivi) e, dunque, la stessa struttura. In sintesi il capo dello Stato ha detto no, per manifesta violazione della Costituzione: a) allo spostamento di quote significative del governo dei magistrati dal Consiglio superiore a istituzioni burocratiche o politiche (scuola di formazione e commissioni di concorso da un lato e ministro della giustizia dallâ??altro); b) allâ??indebolimento della giurisdizione, realizzato attraverso la riduzione del Csm da organo di rilevanza costituzionale a â??consiglio di amministrazioneâ? della corporazione dei giudici, sottoposto alla tutela del guardasigilli e al controllo ordinario della giurisdizione amministrativa; c) allâ??affievolimento della obbligatorietà dellâ??azione penale, perseguito mediante lâ??attribuzione al ministro della giustizia di un anomalo potere di interferenza attraverso la relazione annuale al Parlamento sulle â??linee di politica giudiziaria per lâ??anno in corsoâ?. Lâ??intervento del capo dello Stato, lungi dallâ??essere un momento fisiologico di dialogo istituzionale è, dunque, un evento traumatico, che segnala un grave rischio di rottura del sistema.
Il fatto è di unâ??evidenza solare. In molti, peraltro, si ostinano a negarlo, a cominciare dal sempre più ineffabile e surreale ministro della giustizia che si dice â??molto soddisfattoâ? del messaggio del presidente (sic!). Ovviamente lâ??ing. Castelli è ben consapevole che câ??è poco di cui rallegrarsi (e che il susseguirsi di â??soddisfazioniâ? di questo genere determinerebbe il definitivo seppellimento della sua dissennata politica della giustizia). Ma la sua reazione e quella, sostanzialmente coincidente, della maggioranza non rispondono solo alla sperimentata strategia di proporre allâ??opinione pubblica una realtà virtuale, costruita sulla propria convenienza anziché sui fatti. Esse anticipano un disegno già altre volte perseguito (da ultimo con la legge sul sistema televisivo): approvare nuovamente la controriforma limitandosi a unâ??operazione di maquillage affermando, contestualmente, di aver recepito le indicazioni del capo dello Stato. Per questo chi ha a cuore le sorti della giurisdizione e dello Stato di diritto non può ritenersi appagato dal rinvio alle Camere della legge. Occorre, da oggi, riprendere la mobilitazione per evitare che tale rinvio sia solo un momentaneo (e sostanzialmente irrilevante) incidente di percorso.
Il capo dello Stato ha sottolineato â?? come gli competeva â?? solo gli errori da matita blu, ma ci sono, nella controriforma, molti altri profili di verosimile incostituzionalità , a cominciare dal ripristino di un esasperato assetto gerarchico delle Procure e dallâ??irragionevole assetto della separazione delle funzioni; câ??è un sistema di organizzazione del corpo giudiziario macchinoso, dispersivo e ingestibile; câ??è lâ??accantonamento (determinato dalla concentrazione della legge solo sugli aspetti concernenti lo status dei magistrati) dei reali problemi, organizzativi e normativi, che affliggono il servizio giustizia. Di ciò sono ormai consapevoli ampie fasce dellâ??opinione pubblica, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni dei consumatori e degli utenti. Il rinvio della legge alle Camere deve, dunque, essere lâ??occasione per riprendere, su questi punti, il dibattito troncato da voti di fiducia e maxiemendamenti. La Costituzione lo consente e la drammaticità della situazione lo impone. Lâ??importate è non essere rassegati e non dare nulla per scontato.
*Presidente di Magistratura democratica