di Giulia Cusumano
Sanno dove andarli a cercare.
Li aspettano al varco.
Li prendono con le mani nel sacco.
Li mettono in fila indiana, li caricano, li portano via.
Ieri i treni, oggi i bus.
Ieri ebrei e zingari, oggi clandestini.
Milano sguinzaglia i vigili, li manda a caccia.
Di clandestini.
Alle fermate dei mezzi pubblici.
Loro ci salgono senza biglietto e senza documenti. Vanno presi,
obbligati a montare su altri bus. Quelli con le grate ai finestrini.
Niente mosse azzardate, niente ribellioni. Si va dritti alla centrale
di polizia. C’è pure la scorta. Quattro volanti a sirene spiegate.
Saranno processati, respinti, ricacciati nei vari paesi del mondo, da dove sono venuti.
Dove avrebbero dovuto rimanere.
A Milano c’è chi dà ragione a Matteo Salvini, capogruppo della Lega
in consiglio comunale ed europarlamentare, che dice: "Vedendo questi bus, i clandestini capiranno che se ne devono tornare a casa"
Altri parlano di «una pratica disumana, con uomini lasciati per ore al pubblico ludibrio». (Gianni Bottalico,presidente delle Acli milanesi)
o di "rastrellamenti fascisti" (Don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità nuova).
C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico, a Milano.
Vecchie abitudini che ritornano nella città che si prepara all'Expo.
Nella città che si vuole offrire al mondo come un modello.