di Bruno Vespa - w.s.
da L'UnitÃ
Egregio Direttore,
non ho ricevuto alcuna lettera da Rosario Bentivegna se non lâ??oltraggiosa intervista pubblicata da lâ??Unità a proposito di quanto scrivo nel mio libro sullâ??attentato di via Rasella. Attribuirmi la divulgazione di «verità fasciste» è un insulto che restituisco al mittente. Sono infatti passati i tempi in cui lâ??unica verità accreditata su quei tragici anni era quella «comunista».
Non ho naturalmente una sola riga da ritrattare. Al contrario di quanto fanno gli storici amici di questo giornale, che hanno sempre dato una sola, univoca interpretazione dei fatti relativi alla Resistenza, nel mio libro si riporta correttamente anche la versione fornita da Bentivegna, che disse di aver saputo dellâ??esecuzione delle Ardeatine solo a cose avvenute... La questione dei manifesti è molto ambigua. Ma è molto imbarazzante che il gappista vi si nasconda dietro. Perché ha fatto quellâ??inutile attentato due mesi dopo che gli americani erano entrati ad Anzio? Pensava che i tedeschi avrebbero risposto con dei mazzi di fiori? Pensava che la sua azione avrebbe «cacciato gli occupanti», come si ostina a ripetere allâ??Unità ? Questo non toglie ovviamente nulla allâ??orrore incancellabile delle Ardeatine, ma non si può dimenticare che lâ??attentato di via Rasella divise anche il mondo comunista. Nella sua «Storia dellâ??Italia partigiana», Giorgio Bocca parla di «autolesionismo premeditato». Vedo che Bentivegna, invece di avere qualche sano dubbio senile, non ha mutato atteggiamento, visto, - mi par di capire tra le righe - che difende ancora lâ??assassinio di Gentile.
Per quanto riguarda il dissenso da via Rasella di De Gasperi - e non solo - ne ho chiesto conferma ad Andreotti dopo la pubblicazione dellâ??intervista di Bentivegna e Andreotti ha ricordato pubblicamente, alla presentazione del mio libro, di aver annotato quellâ??esplicito dissenso in una sua pagina di diario. Bentivegna ne prenda finalmente atto.
Sono io ad aver raccolto lâ??intervista con il partigiano Rosario Bentivegna, in merito al libro di Bruno Vespa, per le pagine in cui parla dell'attacco militare di via Rasella e delle Fosse Ardeatine.
Per questo mi sento chiamato in causa e vorrei porgere ai lettori qualche osservazione. Certamente Vespa è libero di pensarla come vuole, ma quando parla di «verità comuniste» sulla Resistenza, per non essere solo insultante, non può certo dimenticare che furono tanti i comunisti che morirono alle Fosse Ardeatine. Tanti altri furono torturati in via Tasso e altri ancora massacrati durante le Quattro giornate di Napoli, a Milano, a Marzabotto, a Torino, a Genova, a Firenze. Attenzione Vespa: quei comunisti pagarono, dunque, un altissimo prezzo per la libertà della quale anche lei gode, forse con qualche esagerazione. Si batterono per la democrazia e la libertà , insieme ai partigiani cattolici, a quelli di «Giustizia e Libertà », ai socialisti, ai repubblicani, ai democristiani, ai soldati e ufficial dellâ??esercito e dei carabinieri e perfino ai monarchici. Dunque, davvero più di rispetto per i comunisti italiani.
La questione dei manifesti-appello per invitare i gappisti di Roma a presentarsi ai comandi nazisti per evitare la strage delle Ardeatine, è una tipica menzogna fascista che va avanti da anni. Basterebbe aver letto gli atti del processo a Herbert Kappler, il capo della polizia nazista di Roma e condannato per il massacro dei 335 italiani, per rendersi conto che si tratta di una bugia. Io ho letto quegli atti e ho pianto come un bambino leggendo gli ultimi bigliettini di quei martiri alle famiglie. Ecco che cosa risulta. Il 18 novembre del 1946, una corte inglese processa, a Roma, i generali Kurt Maeltzer ed Eberhard Von Mackensen. Il 25 novembre viene ascoltato anche Albert Kesselring, comandante delle forze tedesche nellâ??Italia del Sud. Conducono lâ??interrogatorio due accusatori inglesi: il dottor Christ e il colonnello Kalse. Ad un certo punto chiedono a Kesselring, a proposito di via Rasella e delle Ardeatine: «Faceste qualche appello alla popolazione romana o ai responsabili dell'attentato prima di ordinare la rappresaglia?». Lâ??alto ufficiale risponde: «Prima no». Gli interroganti inglesi chiedono ancora: «Ma voi avreste potuto dire: â??Se la popolazione romana non consegna entro un dato termine il responsabile dellâ??attentato fucilerò dieci romani per ogni tedesco uccisoâ?». Risponde Kesselring: «Ora, in tempi tranquilli, dopo tre anni passati, devo dire che lâ??idea sarebbe stata molto buona». Gli inglesi insistono di nuovo: «Ma non lo faceste?». La risposta è secca e lapidaria: «No, non lo feci».
Poi viene interrogato Eberhard von Mackensen, comandante della XIV armata e secondo solo a Kesserling nel Sud italiano. Lâ??alto ufficiale afferma, dopo aver raccontato della situazione militare in Italia: «Infine io sono convinto di quanto segue: coloro che furono liquidati sarebbero stati in ogni caso liquidati dalle SS, ci fosse stato o non ci fosse stato lâ??attentato della bomba. Io non potevo cambiare questo». Vediamo ancora il resto.
Vespa dimentica che non solo Bentivegna e gli altri combattenti italiani, ma anche i partigiani francesi, polacchi, sovietici, jugoslavi, albanesi, svedesi, belgi, norvegesi e persino gli oppositori tedeschi di Hitler, non aspettarono di essere liberati da qualcuno, ma passarono subito alla lotta antifascista e antinazista, pur sapendo che i nemici non avrebbero reagito con i fiori. Vespa, dunque, dovrebbe prendersela con i resistenti di tutta Europa che, con grande coraggio, affrontarono il nemico occupante facendosi decimare, senza aspettare un giorno di più. Ora sappiamo almeno che Vespa, in quella stessa situazione, sarebbe rimasto buono, in attesa degli eventi.
In quanto a De Gasperi, bisogna ricordare che il presidente del Consiglio, al tavolo della pace, rivendicò allâ??Italia lâ??onore della Resistenza e quello ai partigiani di aver combattutto, con eroismo, contro gli occupanti nazisti. Non sarà stato dâ??accordo con via Rasella, ma gli atti di concessione delle medaglie ai gappisti romani, portano proprio la sua firma.
Bruno Vespa parla anche di «mondo comunista diviso» e cita il libro di Giorgio Bocca. Ã? davvero un poâ?? â??grossierâ? definire Bocca un comunista. Lo avesse detto Berlusconi...