di Elie Wiesel
da La Repubblica
Quelle foto di bambini a brandelli, vittime innocenti e indifese di una natura crudele e scatenata le guardo perfino nel mio sonno agitato, e so che non dovrei guardarle troppo.
Sono morti, ed è indecente e pericoloso guardarli troppo. Se almeno si potesse, con lo sguardo, fare qualcosa per loro; se, per miracolo, si potesse far loro il dono di un giorno di vita, di un'ora di tenerezza, o almeno piangere con loro e per loro, dire loro parole di malinconia e consolazione. Ma non si può.
Non si può fare più niente per questi bambini dal volto così calmo, così sconvolgente, rifiutati dalla vita, rigettati da un mare infuriato e da un cielo impietoso.
Certo, abbiamo il diritto di porci delle domande. Avremmo potuto, con i mezzi scientifici appropriati, evitare la catastrofe con i suoi oltre centomila morti? Il mondo dei ricchi ha dato prova di iniziative generosità sufficienti verso le povere famiglie d'Asia, aiutando i loro governanti a installare il meccanismo adeguato per dare l'allarme in tempo?
Ogni corpo muto di bambino ci interpella attraverso la domanda che incarna. E questo vale per ogni bambino che ha portato con sé, nella morte, il suo futuro, ogni piccolo essere a cui sono stati rubati anni di gioia e felicità .
Una società è sempre definita e giudicata dal suo atteggiamento verso i bambini. Che dire della nostra?
Di fronte a una tragedia umana dalle dimensioni quasi bibliche, davanti a una tale incommensurabile ingiustizia si cerca invano la forza per esprimere il lutto e il dolore con parole.
Posso soltanto guardare, ancora e ancora, le immagini insostenibili di quei bambini sventurati, abbandonati nei villaggi devastati, sparsi sulla sabbia. Feriti, sfigurati, esangui, domandano molto poco: essere riconosciuti da un genitore, un fratello, una sorella o un amico amati, per trovare la pace nella terra.
Io so, tutti noi lo sappiamo, che morendo così piccoli, così giovani, così fragili, la loro fine prematura diventa, a questo livello, una sorta di protesta: quando un bambino muore, sempre e dovunque, tutti noi, in qualche modo, ne siamo, poco o molto, responsabili.
Che dire, allora, di centomila bambini di cui ci restano solamente delle immagini?
E Dio, in tutto questo? (traduzione di Fabio Galimberti)