di Luigi Manconi
Si, sono sollevato per il fatto che sia rientrato sano e salvo Gianluca Zambrotta (lo confesso: sono juventino) e anche Cristiano Lucarelli (lo ammetto: sono di sinistra), ma qualcosa continua a turbarmi. Forse è la sorte di quei 70 mila (o 90 mila o 100 mila e oltre) senza volto e senza nome, che - invece - non rientreranno affatto. Uccisi dalla furia del maremoto, dispersi, sepolti dal mare, dal fango, dalle rovine. Il più grande disastro naturale dell'epoca contemporanea ha mostrato impietosamente - tra le molte altre contraddizioni - anche la debolezza del nostro sistema dell'informazione. E la sua irriducibile futilità . Per carità : non c'è dubbio che possa risultare interessante conoscere le sensazioni provate da Ornella Muti, sorpresa dall'onda assassina mentre faceva una immersione e (grazie al cielo) sopravvissuta: ma, diciamolo, la vicenda della nostra attrice non è quella che riassume meglio l'intera tragedia e le sue innumerevoli vittime. E questo, forse, lo si doveva dire e scrivere con maggiore tempestività , sensibilità e intelligenza. Anche perché siamo in presenza di un immane disastro, che - per numero di vittime e conseguente nel tempo - è asiatico e globale. D'accordo, anche italiano: ma, innanzitutto, asiatico e globale. Certo, globale anche perché sono cosmopolite le esperienze (le letture, le vacanze, le conoscenze) di una quota crescente di italiani; e globale perché mai come in questo caso risulta crudelmente vero quel paradigma delle nuove scienze che così recita: il battito d'ala di una farfalla a Tokio può scatenare una tempesta a New York (a segnalare le interconnessioni e le interdipendenze dei fenomeni del pianeta). E, tuttavia, piangiamo in particolar modo i nostri morti perché così è normale, e umano, che accada (ci sono più prossimi, affini, simili), ma non dimentichiamo che se le Maldive sono una meta consueta e persino abusata (uffa, sempre alle Maldive), questo significa - dovrebbe significare - non solo la possibilità di splendide vacanze: bensì, anche una diversa consapevolezza del nostro posto nel mondo. E del fatto che quello stesso mondo, che ci vede ormai cittadini globali, non è riducibile a un villaggio turistico, dove i locali (gli indigeni) sono i nostri camerieri.