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Articolo 21 - Editoriali
Il movimento degli studenti non si ferma: anche domani in piazza con i lavoratori
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di Luca De Zolt*

Il movimento degli studenti non si è fermato: nelle prossime settimane torneremo in piazza, a fianco dei lavoratori il 14 novembre e nella giornata mondiale di mobilitazione studentesca per il diritto allo studio il 17 novembre. Due date che si parlano perché non si può parlare di diritto allo studio senza rivedere completamente il nostro sistema economico produttivo, perché ridare accesso al futuro alla nostra generazione significa fermare lo scandalo italiano di un mondo del lavoro bloccato in cui i saperi non valgono nulla, e in cui prevalgono la precarietà e la politica delle raccomandazioni.
La settimana scorsa la Gelmini ha presentato il ddl di riforma dell’università pubblica. Si tratta del coronamento di un disegno complessivo che certifica la fine dell’istruzione pubblica come motore di sviluppo, di mobilità sociale e di opportunità, per consegnarci a futuro in cui più dell’impegno, delle proprie competenze e dei propri sapere, sarà importante saper stare a galla nel mare del familismo e della logica del più forte.
Facendo un rapido excursus, il ministro Gelmini ha prima di tutto dragato le risorse alla scuola e all’università pubbliche con la legge 133 impostale dal ministro Tremonti. Poi ha abbassato di fatto dell’obbligo si istruzione sotto i 16 e la distruzione della scuola primaria con l’operazione sul maestro unico. Fra qualche mese, con l’anno scolastico 2010-11, partirà la riforma della scuola secondaria, che è un pericoloso tuffo nel passato in cui si mantiene forte la divisione tra licei e istituti tecnici, liquidando gli istituti professionali che verrebbero assorbiti dalla formazione professionale. In tutto questo i dati ci parlano, a causa della stretta ideologica sulla valutazione e del 5 in condotta, di uno spaventoso aumento del numero di bocciati già dallo scorso anno, con un conseguente aumento della dispersione scolastica.
Ora tutto ciò può sembrare di per se preoccupante, ma per capire la profondità delle conseguenze delle scelte del governo dobbiamo affiancare a quanto accade su scuola e università l’andamento generale del nostro Paese: la crisi sta impoverendo il nostro sistema produttivo, aumentando la disoccupazione e rendendo la precarietà un dato strutturale e maggioritario nel mondo del lavoro. La sommatoria di questi processi è il trionfo di un modello nel quale non esistono diritti ma solo privilegi, dove non esiste la possibilità per i lavoratori di venir rappresentati democraticamente e di contrattare le proprie condizioni di lavoro e di vita, dove non esiste la libertà di scelta sulla propria esistenza in quanto aumenta il numero dei ricattabili, dove si ramificano s si consolidano le reti clientelari e familiste come unica alternativa al welfare.
Il 14 novembre scenderemo in piazza con la CGIL proprio per fermare questa deriva, per chiedere un mercato del lavoro nel quale siano fatti valere i diritti, dove esista una corrispondenza con il proprio percorso formativo e sia possibile veder riconosciute competenze e saperi e avere il diritto ad aggiornarli costantemente. Vogliamo venga garantito il nostro diritto allo studio, dove per diritto allo studio intendiamo una formazione di qualità che sia gratuita, che sia in grado di valorizzare le differenze anche culturali, che consenta realmente mobilità sociale e pari opportunità per tutti, da nord a sud, nelle grandi città come nelle piccole. 
Servono finanziamenti consistenti, con un aumento di almeno due punti sul PIL delle risorse su scuola università e ricerca, per ricostruire il nostro sistema formativo, dalle elementari fino all’università: finanziamenti che, come ha detto di recente la Banca d’Italia, sarebbero l’unico investimento in grado di darci risultati certi e di successo, soprattutto al sud. Serve poi un piano nazionale sull’accesso ai saperi che renda l’istruzione del tutto gratuita e libera e riconosca l’apprendimento permanente come un diritto fondamentale di cittadinanza.
Ma queste azioni non servono a niente se non cambiano il nostro sistema produttivo, il nostro mercato del lavoro e soprattutto il rapporto tra formazione e mondo del lavoro.
I percorsi ingessanti posti dagli ordini professionali, la scarsa permeabilità tra impresa e ricerca, la visione ristretta della nostra imprenditoria, sono elementi da superare attraverso uno sforzo di immaginazione collettivo che ci consenta di riprogettare l’Italia oltre la crisi.

*rappresentante rete degli studenti medi

 

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