di Beppe Lopez*
Ciampi è di quelli che, non si sa perché, godono di buona stampa. Anzi di ottima stampa. Di più: di stampa superlativa. Ma si può dire, più in generale, che è uno di quegli uomini di cui si possa dire, senza tema di smentite, che è nato con la camicia. Senza parlare del suo autorevole governatorato della Banca d’Italia e delle sue eccellenti prestazioni di ministro economico, la sua nomina a presidente della Repubblica così viene riferito dagli annali, “in prima votazione e con un numero record di consensi, è il terzo capo dello Stato nella storia della Repubblica a essere eletto al primo scrutinio dopo Enrico De Nicola e Francesco Cossiga. Al momento della votazione, ha totalizzato 707 voti, 33 in più del quorum richiesto”. Tuttora si fa riferimento alla sua figura come ad un padre della Patria post-litteram, capace di opporre una strenua ed alta resistenza alla marea montante della delegittimazione delle istituzioni. Anche e soprattutto presso la fetta di opinione pubblica formata (indotta) dalla pubblicistica di centrosinistra. Nessuno che ricordi che, proprio durante il suo settennato (1999-2006), prese corpo, mise radici e sfondò la devastante anomalia berlusconiana, contrariamente a quel che avvenne col suo predecessore Scalfaro. Ed è quindi proprio a lui che si ricorre, da parte di Repubblica, per avere lumi sullo stato di salute della nostra democrazia (“In corso la manipolazione delle regole”) e per lanciare, pur con le dovute cautele, una specie di monito a Napolitano perché si opponga e resista all’“imbarbarimento” e all’“aggressione” berlusconiana, in occasione del tentativo del presidente del Consiglio di far passare il cosidetto processo-breve (“Non si promulghi quel testo”).
Addirittura, l’intervista a Ciampi viene sparata dal giornale fondato da Scalfari col titolone principale di prima pagina. «Viviamo un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell'azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». Ciampi è veramente angosciato. "Vede, la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile… Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell'edificio democratico, cioè le istituzioni, e si umiliano i valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...".
Ciampi non immaginava? In compenso, lo immaginavano gli italiani che assistettero impietriti alla sua olimpica, remissiva acquiescenza – naturalmente “equilibrata”, “equidistante” e “terzista” – di fronte all’invasività dell’imbarbarimento, della sistematica manipolazione delle regole, della destabilizzazione delle istituzioni, dell’umiliazione dei valori istituzionali. Nessuno che ricorda a Ciampi che la passività dei garanti delle istituzioni di fronte a tutto questo non è iniziata oggi, ma proprio quando era lui al vertice della Repubblica. No, il degrado non ha aspettato che Ciampi – come ricorda il cronista di Repubblica a suo onore (e non a suo ) – parlasse “forse per la prima volta… senza mezzi termini del Cavaliere”.
Ma, come si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Così, proprio il giorno in cui Repubblica intervista alle pagine 1 e 3 il “padre nobile” Ciampi, lo stesso giornale pubblica a pagina 7 l’elenco delle “diciotto leggi ad personam per sottrarsi alla giustizia e salvare i propri affari. Così Berlusconi si è garantito l’impunità”. Di queste ben 13 sono state promulgate da un presidente della Repubblica che si chiamava Ciampi e che ora si duole della legge ad personam sul processo breve sino a sollecitare Napolitano a non promulgarla. Ma durante quel difficile settennato il buon Ciampi fu costretto a non limitarsi a questo. Consentì anche una serie di altre cose. Prima fra tutte, l’inserimento della dizione “Berlusconi presidente” (e in ricaduta di “Rutelli presidente”) sulle schede per le elezioni politiche. Per usare le parole del Ciampi di oggi, una manipolazione una umiliazione delle regole costituzionali che delegittimava il potere del Parlamento di eleggere e del presidente della Repubblica di nominare il capo del governo. Insomma, una cosuccia da niente che ha consentito da allora al “barbaro” Berlusconi di definirsi – a dispetto del tuttora vigente (anche se disatteso, manipolato e umiliato) disposto costituzionale a presidio del carattere parlamentare e rappresentativo della nostra democrazia - eletto/nominato dal popolo e al di sopra di tutto e di tutti.
da www.infodem.it