di Gianni Rossi
Nel 2010 la violenza sociale e politica, causata dalla grande crisi economica e occupazionale, che nel mondo produrrà oltre 60 milioni di disoccupati in più rispetto al 2008 e 200 milioni di lavoratori “a rischio” che potranno basarsi su un salario di appena 1,30 euro al giorno, metterà a rischio elevato la stabilità di 78 stati. E’ questa l’analisi fatta dall’Unità di Intelligence dell’autorevole settimanale inglese Economist e confermata da analoghi studi svolti dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dalle Nazioni Unite. Insomma, uno scenario a tinte fosche, che rischia di aggravare le tensioni sociali che, almeno per ora, in Europa sono state controllate dalle organizzazioni sindacali, dai movimenti politici di opposizione e dalla tenuta di una “pax” sociale, figlia di alcuni decenni di economia altalenante ma pur sempre in espansione.
Su 166 Stati monitorati, dunque, 78 sono considerati ad alto rischio di rivolte popolari: in maggioranza nell’Africa Sub-sahariana e centrale, ma anche nell’Europa dell’Est, nell’Asia (compresa la Cina in continua espansione industriale) e in America latina e centrale. Rischio medio per 51 paesi e più contenuto per altri 37. In queste due ultime categorie vengono compresi la maggior parte dei membri dell’Unione Europea, con punte critiche per Gran Bretagna, Francia, Irlanda, Spagna e Portogallo, oltre ad Islanda e alle tre Repubbliche Baltiche (Lettonia, Estonia e Lituania).
Una situazione, sostengono gli analisti, che continuerà oltre il 2010, in quanto la fine della recessione (la peggiore degli ultimi 80 anni, rispetto a quella già drammatica del 1929) non porterà nuova occupazione, ma vedrà “la crescita di povertà e disuguaglianze, riduzione delle classi medie e il rincaro dei prezzi delle derrate alimentari, oltre ad una cura di austerità dopo gli alleggerimenti fiscali accordati nel 2009”. Uno stato di crisi sociale, aggravata dunque dall’estensione del numero dei disoccupati e della caduta dei livelli salariali in tutto il mondo, che ha spinto il Senato degli Stati Uniti ad ascoltare in un’audizione speciale il capo dei Servizi segreti interni, il DNI (la CIA invece opera all’estero), l’ammiraglio Dennis Blair, che ha parlato dei danni legati alle conseguenze potenziali del rischio per l’instabilità politica provocata proprio dalla crisi, divenuta così “la principale preoccupazione degli Stati Uniti a breve termine in materia di sicurezza”.
Rispetto alla fine degli anni Sessanta e metà degli anni Settanta, quando non solo la crisi economica dovuta al primo stop della crescita economica del dopoguerra, ma anche l’esplosione della contestazione culturale e sociale di studenti e giovani lavoratori, portarono a forme di violenza di piazza e, in alcuni paesi, come Italia e Germania, anche alla nascita di gruppi “rivoluzionari” armati (Brigate Rosse, Prima Linea, a sinistra, e Ordine Nuovo a destra, in Italia, la RAF in Germania federale), questa volta non si prevede almeno per ora il ripetersi di organizzazioni terroristiche. Oggi , sostengono gli analisti dell’Economist, stiamo vivendo “la calma prima della tempesta”, tanto che: “Gli elettori finora non hanno votato in massa per l’estrema sinistra o per la destra populista. Le vittime della crisi hanno per lo più sofferto in silenzio. Ma non per questo finora non è detto che questo allarme non sia fondato! E’ troppo presto per affermarlo. Alcuni elementi lasciano pensare che il 2010 potrebbe essere un anno di sconvolgimenti”.
In questo contesto, all’interno del numero speciale dell’Economist-Courrier International, ci si domanda come faccia “l’instancabile Cavaliere a resistere a tutti gli scandali, alla popolarità in calo, ad un bilancio economico critico”. Certo il “Nababbo dei media”, che si comporta come un “Nerone”, sostiene l’Economist, “beneficia ancora dell’importante sostegno popolare, seppure in ribasso” e ce la metterà tutta per mantenere il suo potere, nonostante o grazie anche al suo “viso da clown, con un sorriso smagliante sotto una coltre di fondo tinta sempre più spesso”.Molto dipenderà anche dall’opposizione, ritenuta ancora debole, seppure rafforzata dalla nuova leadership del PD, guidato da Bersani, “uomo competente e intransigente, antico esponente comunista, un avversario molto combattivo per Berlusconi”.
Ma la crisi economica ancora forte, il debito pubblico troppo alto, l’impossibilità di basarsi sulla ripresa delle esportazioni e una bassa crescita del PIL per il 2010, saranno le spine nel fianco del governo di questa destra che ha reso “l’Italia un’anomalia nel mondo occidentale, un paese diretto da un populista, una società che resiste ferocemente alle liberalizzazioni”, che fa ancora dichiarare l’Economist: Berlusconi “inadatto a dirigere l’Italia”! Gli ultimi dati ISTAT sulla disoccupazione che cresce in maniera esponenziale, la fine degli ammortizzatori sociali per gran parte di cassintegrati e lavoratori “atipici”, la riduzione dello stato di benessere delle classi medie, la chiusura di tante fabbriche e l’aumento degli “inoccupati” (soprattutto giovani neolaureati), creeranno quelle condizioni di allarme sociale che, appunto, l’Economist segnala nel suo Rapporto di fine anno.
Altro che giornali e programmi televisivi e giornalisti istigatori di violenza e incubatori di terrorismo!Le gioiose, pacifiche e responsabili manifestazioni popolari del 3 ottobre e del 5 dicembre dimostrano come i movimenti spontanei, il “popolo della Rete”, grazie alla forza di penetrazione del WEB e dei “socialnetwork”, hanno fatto crescere una coscienza critica matura che si oppone a questo “regime mediatico autocratico” della “destra anomala italiana”, come la definiscono tutti i più autorevoli giornali internazionali ( la stragrande maggioranza di orientamenti conservatori!). Sono questi il baluardo della moderna democrazia. Altro che censurarli o ridurre al silenzio.Norme repressive contro qualsiasi forma di comunicazione ed espressione di contestazione di piazza possono portare solo ad acuire lo scontro sociale. E’ già successo negli anni Settanta, quando solo grazie alla determinazione e senso dello Stato del Partito Comunista, dei sindacati, dei movimenti pacifisti e di una parte della magistratura si riuscì ad isolare e battere la violenza e il terrorismo di estrema sinistra e di destra, e a scompaginare la “strategia della tensione e delle stragi”, messa in atto da settori deviati dello stato e dei servizi segreti e dagli ambienti affaristico-politici (come i piduisti).
Altro che le ricostruzioni astruse di una giovane ministra, Mara Carfagna, in quegli anni appena nata, che rifà la storia secondo i suoi interessi di parte, stravolgendo i fatti che insanguinarono l’Italia, da Piazza Fontana ai tanti martiri per la libertà, molti dei quali uccisi o gambizzati perché “servi del padrone e del PCI”. Dopo l’aggressione a Berlusconi ha infatti dichiarato che: “L'impressione è che l'opposizione, debolissima ed egemonizzata da quell'Antonio Di Pietro che ancora oggi non si vergogna di scherzare col fuoco e, di fatto, porta fuori il suo partito da quell'insieme di regole democratiche condivise fatte di confronto duro ma corretto, stia facendo come negli anni Settanta, quando il PCI, per non dovere affrontare la propria base, chiuse un occhio e cullò al suo interno quelli che sarebbero diventati terroristi assassini". Anche questo revisionismo storico, dannoso e infantile, ci spinge come Articolo 21 a manifestare per la difesa della Costituzione repubblicana, messa in pericolo proprio dalla maggioranza di destra, che vorrebbe stravolgerne i contenuti, per consegnare tutti i poteri ad un monarca mediatico, “allergico” a qualsiasi contrappeso istituzionale.
L’ultimo Governo Prodi è stato in carica per un totale di 722 giorni, ovvero 1 anno, 11 mesi e 19 giorni, dal 17 maggio al 7 maggio del 2008, e dal primo giorno dopo la vittoria dell’Ulivo, fino all’ultimo giorno, Berlusconi e tutto l’apparato mediatico suo alleato non lo riconobbero mai, anzi lo accusarono di non aver vinto, ma di aver imbrogliato “il voto popolare”; né Berlusconi telefonò mai a Prodi per riconoscerne la vittoria. Era ritenuto un “nemico” e non un “avversario”, un “usurpatore” e non un leader eletto democraticamente a Palazzo Chigi! Questa è stata la strategia mass-mediatica della destra, che poi culminò con la manifestazione di San Giovanni contro il governo Prodi, zeppa di urlanti gruppi della destra estrema, che scandivano slogan violenti, come tutte le TV ripresero.
Il 2010 sarà ancora un “annus horribilis” per l’Italia e per gli altri paesi occidentali in crisi. “Attenzione alle rivolte popolari”, ammonisce l’Economist! Attenzione, quindi, al malessere generalizzato che potrebbe esprimersi fuori da qualsiasi schema e senza che le organizzazioni storiche del consenso (partiti, sindacati e movimenti) potranno controllare e convogliare in dissenso democratico. In quel caso, se le previsioni si avverassero, saremmo tutti perdenti e la democrazia ne uscirebbe ferita e sconfitta. Altro che leggi censorie contro Facebook, giornali, giornalisti e programmi televisivi “indigesti”.