di Bruno Ugolini
da L'UnitÃ
Il terrorismo visto dal sindacato e il terrorismo visto dallâ??imprenditore. Siamo in una saletta vicino alla Fontana di Trevi ed emergono le ombre cupe del passato. Con qualche accenno allâ??oggi. Câ??è una distanza abissale per Guglielmo Epifani. Câ??è qualcosa che assomiglia insinua Romiti. E allude al malcontento che può portare allâ??esasperazione disperata.
Lâ??occasione è un libro dedicato a Guido Rossa, lâ??operaio dellâ??Italsider di Genova assassinato dalle Brigate Rosse il 24 gennaio del 1979, venticinque anni or sono. Il titolo riporta uno slogan caro agli assassini: Colpirne uno, educarne cento. Lâ??autore (editrice Lumina) è un giornalista, Giancarlo Feliziani. Ã? bene ricordare che quello slogan non ebbe successo. Le Brigate Rosse furono sconfitte. Anche per merito, come ricorda Guglielmo Epifani, di Guido Rossa e di un movimento sindacale che seppe, sia pure tra limiti e ritardi, riconoscere il «nemico», denunciarlo e contribuire a batterlo. Certo il bilancio di quella stagione, ricostruito oggi, fa paura.
Le cifre e gli eventi li snocciola Cesare Romiti che allora viveva nellâ??occhio del ciclone, a capo della Fiat. Trovarono la morte, in totale, 429 persone, duemila i feriti. Il manager parla delle infiltrazioni nel sindacato, del famoso licenziamento dei «sessantuno» (considerati filoterroristi), ma non dice una parola sulle colpe e le miopie dellâ??azienda. Ad esempio nellâ??aver instaurato in quelle officine automobilistiche un sistema oppressivo. Non rammenta quante lotte dovettero condurre i sindacati per conquistare elementari diritti di libertà . Osserva, però, che una parte degli operai allâ??epoca - come emerge anche dal libro su Guido Rossa - conservavano una silenziosa «benevolenza» nei confronti delle azioni brigatiste. Non a caso, sostiene, Guido Rossa fu lasciato solo. E oggi? Certo oggi non câ??è «un pericolo imminente».
Però, dice Romiti, quella «benevolenza» operaia per forme di violenza armata, può riaffiorare. Perché «sotto la cenere qualcosa câ??è sempre». E sottolinea: «Specialmente quando le cose non vanno, l'economia non gira, le famiglie fanno fatica, c'e sempre qualcuno che guarda a queste cose con benevolenza».
Oggi, però, ricorda Guglielmo Epifani, il clima è totalmente diverso, nei luoghi di lavoro «non ci sono comportamenti, simpatie, mentalità » assimilabili a quelli coltivati negli anni Settanta. Anche se persistono «schegge» pericolose che hanno portato al sacrificio di studiosi come Dâ??Antona e Biagi. Eppure spesso si tira in ballo il sindacato e le sue presunte responsabilità . Noi, esclama il segretario della Cgil, «non abbiamo abbassato la guardia». E il problema è quello di prevenire, facendo in modo che nemmeno un atto terroristico abbia più a ripetersi. «Il Paese, come diceva Brecht, non ha bisogno dâ??eroi». La sala affollata lo applaude, così come applaude la presenza delle vedova Dâ??Antona.
Lâ??incontro termina con una domanda provocatoria del moderatore Giorgio Meletti, sul «senso dello Stato». Cesare Romiti rifiuta di coinvolgere gli attuali governanti. Rammenta però che quel sentimento, quel senso civico, caro ad uomini come Guido Rossa e molti altri sembra venir meno. Il manager non fa accuse precise. Avrebbe potuto agevolmente parlare di chi incita a non pagare le tasse, di chi sbeffeggia il tricolore.
La lezione di Guido Rossa resta comunque. Anche per la figlia che nel libro si chiede se sia valsa la pena compiere quel sacrificio. Romiti lascia la risposta in sospeso. Un «sì» netto per Epifani: è valsa la pena perché la lotta dellâ??operaio dellâ??Italsider è servita a fermare i terroristi. Quellâ??operaio aveva lucidamente visto nei brigatisti (così come Luciano Lama, rievocato dal segretario attuale della Cgil) dei nemici innanzitutto del sindacato, delle speranze di rinnovamento in questo Paese. Anche se venivano da un qualche album di famiglia vicino alla sinistra.
Câ??è da aggiungere che quella tuta blu immolata, un comunista italiano, difendeva lo Stato per poterlo trasformare, non per mantenerlo così comâ??era. E oggi non sarebbe pentito di quel gesto che gli è costata la vita. La sua prospettiva di lotta e di cambiamento è rimasta aperta.