di Raffaele Simone
da Il Messaggero
DA TEMPO le università italiane si son trovate costrette a rinunciare a parte della loro funzione di istituti di â??istruzione superioreâ? per mettersi a fare un lavoro di educazione di base, somigliante per qualche verso a quello che negli anni Cinquanta il dottor Schweitzer svolgeva nella savana coi piccoli neri. In molte sedi, ad esempio, si sono aperti corsi di scrittura pratica e professionale per studenti poco capaci. Cominciò una decina di anni fa Francesco Bruni allâ??università di Venezia, poi altri corsi sono stati impiantati dappertutto. Arriva ora la Sapienza di Roma, che istituirà per tutti gli studenti un corso di tutorato gratuito per perfezionare lâ??italiano scritto. Oltre al corso, sarà creato uno â??sportelloâ? di salvataggio, cioè un servizio di consulenza gratuita cui potranno rivolgersi liberamente tutti gli studenti.
Luca Serianni, che dirige lâ??iniziativa, ha spiegato ieri su questo giornale che molti studenti se la cavano male con la scrittura, e non solo a livelli alti: stentano infatti â??a strutturare un testo scritto, ad usare correttamente la punteggiatura, ad esporre con un lessico adeguato.â? Bisogna, certo, festeggiare queste invenzioni, che richiedono molto tempo e energia. Ma, allo stesso tempo, suppongo che al lettore dichiarazioni come quelle che ho riportato abbiano fatto venire i brividi. La creazione di corsi così numerosi, e per giunta nelle università , vuol dire infatti che esiste nei giovani una diffusa incapacità di far fronte alla scrittura. Ma come è possibile che uno studente che arriva allâ??università dopo dodici o tredici anni di studi non sia in grado di strutturare un testo o di azzeccarne la punteggiatura? Come si può immaginare che lâ??università debba rinunciare ai suoi compiti per riparare abilità che dovrebbero essere già completamente acquisite? Il fatto è che, mentre si discute di formule politiche, di scelte di campo e di altre consimili generalità poco concludenti, lâ??Italia (e in particolare la sua gioventù) sta scivolando nel torpore di un pericolosissimo semi-analfabetismo. Ã? - lo dico a chiare lettere - una tragedia nazionale senza pari, che non dovrebbe preoccupare solo la signora Moratti, ma turbare le notti a tutti quelli che si occupano del nostro futuro, di destra o di sinistra che siano.
I giovani non ignorano infatti solo la scrittura. I lettori ricorderanno che qualche settimana fa (â??Il Messaggeroâ? dellâ??8 dicembre 2004) in una ricerca del Pisa, il programma dellâ??Ocse che assegna ogni tre anni un voto comparativo a ventinove paesi del mondo per quanto riguarda la capacità degli studenti di vari ordini di scuola di capire quel che leggono, e di praticare la matematica e le scienze, lâ??Italia occupava la venticinquesima posizione! Dovremo creare nelle università anche uno sportello di consulenza per chi non capisce quel che legge? Che cosa vogliamo di più per renderci conto che siamo al fondo? A guardare le cose da specialista, bisogna dire che le ultime generazioni sono preda innocente di un gigantesco processo di dealfabetizzazione, un bradisismo cognitivo che li allontana inesorabilmente (come gusto, come propensione, come capacità tecnica) dal leggere e dallo scrivere. I motivi sono multipli e operano protervamente intrecciati, senza che nessuno li contrasti. Câ??è, al livello più generale, lo straordinario permissivismo della scuola italiana (guardato con allarme in mezza Europa), dove la ciancia e lo â??stare insiemeâ? sono ormai prevalenti sullo studio e la â??lezione frontaleâ? è vista come un oltraggio. Câ??è il fatto che la scuola offre pratiche di lettura e di scrittura ormai polverose e obsolete rispetto al fluire sconnesso della cultura giovanile: è difficile contrastare con â??I Promessi Sposiâ? i romanzi di Stephen King o di Claudio Coelho (a parte ogni considerazione di qualità ). Câ??è il fatto che la cultura digitale (telefonino usato per scrivere e fotografarsi, computerino sempre acceso per chattare sciocchezze senza posa, cuffia del Cd-player o dellâ??iPod ficcata nelle orecchie anche mentre si legge o si scrive) si è dimostrata ormai in tutto il mondo non il migliore avviamento alla lettura ma il peggior nemico dellâ??alfabeto e del suo mondo.
I corsi di scrittura che si moltiplicano nelle università sono un tentativo, eroico non meno che malinconico, di far fronte a questo gigantesco smottamento.