di Pino Finocchiaro
??La mafia è negli enti locali, si sostituisce ai poteri dello Stato, la politica ha reso possibile la crescita di Cosa Nostra?
"La mafia va estirpata alle radici. La mafia è negli enti locali. Si sostituisce ai poteri dello Stato. E?? la politica che ha reso possibile la crescita di Cosa Nostra. Non potrà essere battuta solo da forze dell'ordine e dai magistrati. Occorre il contributo di tutti".
Paolo Borsellino era un uomo di destra, sì, ma scomodo anche a destra. Perché ogni parola era un sasso nello stagno della mafia pozzanghera ma anche un sasso nel mare della mafia imprenditrice, quella che fa business e politica. Quella che ha cullato come un incubo il silenzio dopo via D??Amelio. Quella che ha voluto Palermo come Sarajevo, e poi ha annidato cecchini nel Palazzo.
Han portato vento di ??normalizzazione?. Hanno favorito l'inabissamento di Cosa Nostra imprenditrice. Esattamente il contrario di quel che desiderava il giudice Paolo Borsellino ??un uomo scolpito nella croce?. Lo sappiamo tutti, presenti e assenti, ognuno a modo suo.
Fermiamoci un attimo e riascoltiamo le sue parole in una intervista del 25 marzo 1990. Raccolta in margine ad un convegno di destra, a Catania, ma non sono parole di destra. Sono parole scomode. Sono le parole di un uomo giusto, la cui memoria appartiene a tutti.
??La mafia va estirpata alle radici, non basta dare una sfrondata alle foglie alte della mala pianta. Qualcuno ha detto che per ogni mafioso che mandiamo in carcere se ne trovano dieci a contendersi il suo posto. Purtroppo non siamo distanti dalla verità.
Quel che è peggio, in molti si aspettano ancora dei risultati solo dall??apparato poliziesco o giudiziario: è impensabile.
E?? il potere politico, soprattutto quello degli enti locali che deve farsi carico di scelte che eliminino quelle condizioni che hanno consentito il nascere della mafia, quell??immenso terreno di coltura fatto di miseria e degrado?.
Paolo Borsellino, allora era procuratore della Repubblica a Marsala, avevamo già parlato due anni prima mentre indagava sulla strage di Ustica. Schivo sì nel tratto, nei gesti da gentiluomo siciliano, non era mai evasivo. Lo ricordo con quel suo accento palermitano che ne marcava l??insularità intellettuale, il grande amore per quel patrimonio di tradizioni che la Sicilia può mostrare con orgoglio al mondo intero.
A Catania lo precede la fama di socio fondatore del pool antimafia, si schermisce, dice di essere stanco, poi accetta subito l??intervista, il confronto e si riaccende subito in quella foga oratoria che già ha tenuto il pubblico inchiodato alle sedie per un??ora. Il convegno è organizzato da un??associazione culturale di destra. Paolo Borsellino rifiuta le etichette, marca la distanza declinando l??invito a trarre le conclusioni del convegno. Ma non desiste a trarre le sue durante l??intervista. Tra una puntualizzazione e l??altra si appella alla riservatezza del ruolo: accade quando si accenna a quei due sottufficiali dell??Arma trasferiti grazie ad autorevoli interventi politici mentre indagavano sulla mafia e bissa anche lo scoglio Di Maggio, limitandosi a sottolineare che ??le polemiche fanno sempre male alla serenità del giudizio?.
Schiva poi il paragone con le accuse di Di Maggio quando accenna a ??segnali negativi che giungevano non appena si mettevano le mani su qualcosa di importante?, piuttosto distingue: ??Di maggio si riferiva probabilmente a quel che poteva accadere nella struttura dell??Alto commissario. Penso che sia il caso di evitare le illazioni, piuttosto, per quanto mi consta, l??unico tipo di pressioni che la mafia abbia mai potuto ottenere sulla magistratura le ha fatte sparando?.
- Negli ultimi dieci anni si è parlato e difatti si è lottato di più la mafia, ma la mafia non sembra certo perdente, anzi appare sempre più forte, determinata.
??Decisamente, oggi ne sappiamo di più sulla mafia - spiega Paolo Borsellino - ma non basta, non abbiamo eliminato le cause che hanno determinato lo sviluppo della presenza mafiosa. E la mafia sembra più forte per due motivi.
Primo, perché dovendosi difendere a tutti i costi è diventata più dura, più chiusa in sé e molto più sanguinaria.
Secondo, perché lo Stato non appare altrettanto deciso: un sintomo grave di debolezza sta nell??applicazione del nuovo codice di procedura penale per il quale mancano totalmente le risorse umane, i mezzi: la magistratura non ha mai dato segno di non volere l??innovazione, è la struttura del tutto inidonea ad applicarlo: ci sono stati magistrati che si sono ritrovati con un carico di lavoro decuplicato, c??è il personale che non è in grado di dare risposte immediate. A Palermo si è fatto il conto che per le indagini di polizia giudiziaria sono disponibili solo sei giorni al mese: ma la mafia non si prende ferie?.
- Cosa manca?
??Manca tutto. Si, è scontata come risposta ma è vero: mancano persino le sedie. Il governo in questo è latitante?.
- E?? intervenuto ad un convegno dal titolo ??La mafia è il potere?. Cosa ne pensa?
??L??ho accolta come una provocazione che serve a dare il segno del livello delle infiltrazioni negli enti locali, della capacità della mafia di sostituirsi ai poteri dello Stato.
Tende a passare una cultura che vorrebbe la mafia capace di dare quella giustizia che i nostri tribunali civili non sono più in grado di amministrare con celerità. Per l??ingiunzione non ci si rivolge al giudice ma al mafioso. E?? un grande equivoco: la mafia per darti qualcosa deve togliere ad altri.
Ecco perché dico che alla base della prevenzione deve stare un grande sforzo di elaborazione culturale: bisogna che tutti comprendiamo che solo lo Stato è in grado di dare qualcosa a chi ne ha bisogno senza privare del medesimo diritto qualcun altro meno forte?.
Palermo, 19 Luglio 1992. Un caldo pomeriggio. D??improvviso un boato. Una vampata di pentrite avvolge tutto in via D??Amelio. Vengono cancellati così Paolo Borsellino, Margherita Loy, Agostino Catalano, Eddie Walter Cusina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli.
Il pomeriggio si accende di rumori. I gemiti dei feriti colpiti dall??esplosione sin dentro casa mentre riposavano o guardavano la tv. Le prime sirene. L??accorrere delle volanti. Persino l??eliambulanza. Con il medico rianimatore che spera di trovare ancora qualcuno da salvare.
L??elicottero batte l??aria inutilmente. Le pale battono l??aria sinistramente con quel rumore caratteristico del flappeggio quando frena la discesa verso terra. E?? come il Libano, come l??Iraq, come Sarajevo. Chi si salverà?
Palermo, il giorno dopo. E?? come un senso immateriale, di... dissoluzione quello che ti prende quando sai di poggiare i piedi su una mattonella bruciacchiata dove è stato letteralmente disintegrato quell?? uomo che conoscevi. Un giudice e la sua scorta. Stavo a chiedermi dove sono quei baffetti che si agitano appena mentre le labbra narrano con calma cose da far tremare le vene dei polsi. La strage di Ustica, i rapporti di Cosa Nostra col mondo politico e imprenditoriale, le scelte politiche, gli investimenti strategici, frutto di connivenze, patti scellerati.
Via D??Amelio, il giorno dopo... era così. Dissolta, macerie. Ma, nel silenzio, era quella voce che cercavi. Avevo incontrato e intervistato Paolo Borsellino una sola volta, l??avevo sentito, per telefono, un??altra volta quando era procuratore di Marsala per la vicenda del radar che aveva ??perso di vista? il DC 9 Itavia abbattuto su Ustica. In quest??Italia dove i segreti di fatto sono più difficili da scalfire dei segreti di Stato, Paolo Borsellino era uno che non si fermava al primo ostacolo.
Via D??Amelio, il giorno dopo, era un pullulare di investigatori, vigili del fuoco, necrofori, ancora qualche giornalista e un fotografo: lo stesso col quale due settimane prima, ero atterrato a Sarajevo, eravamo stati i primi giornalisti italiani a mettere piede nella capitale bosniaca in preda alla devastazione.
Via D??Amelio, il giorno dopo, era uguale a Sarajevo, tranne il silenzio, innaturale, quasi staccato dal resto del centro cittadino con quelle grandi tansenne che lasciano fuori il serpentone di macchine che abitualmente soffoca via Notarbartolo e i soldati che pian piano cingono d??assedio il carcere dell??Ucciardone.
In via D??Amelio, il giorno dopo, non c??erano i cecchini, non sentivi i colpi della mitraglia, i serbatoi di benzina delle auto che esplodevano, non dovevi metterti al riparo. Ma le case, le case erano uguali.
Via D??Amelio come Sarajevo. Case sventrate, mura abbattute, detriti dappertutto, schegge impazzite che avevano fatto il giro del palazzo. Brandelli umani raccolti persino nei balconi.
In questo scenario incontrai il pubblico ministero Carmelo Petralia, - catanese, aveva da poco fatto arrestare il boss Sebastiano Laudani, il cui clan, i mussi i ficurinia, col passare del tempo è diventato più temuto e potente della famiglia Santapaola. Petralia era stato applicato a Caltanissetta, per incardinare le indagini. In tutto quel vuoto, in tutta quella desolazione, il pm cominciò ad indagare dalle piccole cose (che di grandi non erano rimaste) l??esplosivo usato, il tipo e la serie dell??auto-bomba per risalire a chi l??aveva acquistata e a chi presumibilmente l??aveva rubata. Sembrava un lavoro impossibile, eppure proprio grazie a indagini e perizie Carmelo Petralia e la collega Anna Palma hanno ottenuto tre ergastoli in primo grado per gli esecutori materiali della strage.
Per Petralia la guerra non è mai finita.
Perché una cosa che appare chiara, Cosa Nostra, per quanto messa alle strette è ancora forte, il suo potere economico è quasi del tutto intatto nonostante migliaia di arresti.
??Diciamolo - sottolinea Carmelo Petralia - Cosa Nostra in molte zone del nostro territorio è l??unico potere visibile, reale, efficace?.
Un brivido di freddo. Quanto all??essere di destra, lo stesso Enzo Trantino in passato ha citato con discrezione la comune idea monarchica. Discrezione dovuta, giacché al di là delle rivendicazioni d??area che Paolo Borsellino oggi non avrebbe condiviso è un fatto non condivise l??iniziativa di candidarlo alla presidenza della Repubblica avanzata dal Movimento Sociale in alternativa a Scalfaro.
La memoria servirà pure ad affrontare il futuro? Trantino ha spesso ricordato le accuse del giudice Borsellino contro i ritardi pretestuosi dei politici. Una sottolineatura alle parole di chi lamenta il sostanziale arretramento nella lotta alla mafia, l??obsolescenza di mezzi alla quale si deve sopperire spesso affittando microspie dai privati.
Che incubo il silenzio dopo via D??Amelio. Palermo come Sarajevo. I cecchini annidati nel Palazzo. Ricordate quel giovane dc Totò Cuffaro che attacca in un programma tv Falcone accusandolo di ledere l??immagine dei siciliani veri?
Dalla parte di chi stava Borsellino, allora? Con l??amico Falcone o col baby-politico Cuffaro?
E con chi starebbe oggi Borsellino con Report o Puntoacapo? Basta rivedere l??intervista a Moscardo e Calvi, se Puntoacapo avrà l??obiettività di proporla in trasmissione. Basta rivedere Borsellino che batte con le dita sugli atti delle inchieste. Inchieste contro Mangano, lo stalliere di Arcore. Inchieste sui Dell??Utri. Quelli di Pubblitalia? Sì, quelli. Inchieste su Berlusconi. Quello della bandana? No, quello di Standa e Fininvest.
L??attacco a Report è solo vento di ??normalizzazione?. Esattamente il contrario di quel che desiderava il giudice Paolo Borsellino ??un uomo scolpito nella croce?. Lo sappiamo tutti, presenti e assenti, ognuno a modo suo. Ma noi, siciliani indignati, vogliamo una puntata di riparazione allo stravolgimento della memoria di Borsellino e Alfano, non alla tronfia supponenza del baby-governatore che vorrebbe strumentalizzarne la memoria.